RISTRETTI.ORG: IL CSM, LA POLIZIA GIUDIZIARIA E LE INFORMATIVE. OCCORRE DIFENDERE LO STATO DI DIRITTO

venerdì 23 giugno 2017

di Pier Luigi Maria Dell'Osso, Procuratore generale di Brescia

Corriere della Sera, 22 giugno 2017

Lo scorso gennaio è entrata in vigore una norma che introduce l'obbligo per la polizia giudiziaria di informare, unitamente al pm, la scala gerarchica fino al capo della Polizia, indipendentemente da quanto prescritto dal c.p.p. Una precedente circolare del capo della Polizia ha evidenziato l'obbligo di riferire non solo la prima informativa, bensì le successive, fino a conclusione delle indagini: il che estende la portata della norma.

Avviene ora che il Csm deliberi di proporre al ministro della Giustizia l'adozione di ogni iniziativa per la modifica della norma, che faccia salvi gli obblighi prescritti dal c.p.p. e la renda compatibile con l'assetto ordinamentale e costituzionale del pm.

Avviene altresì che il capo della Polizia, in un'intervista di qualche giorno fa, si dica offeso, come servitore dello Stato (e non del governo) dalle motivazioni con cui il Csm sollecita il governo alla modifica della norma. Puntualizza, poi, il prefetto che, per i Carabinieri, c'è un obbligo di riferire, in via gerarchica, al Comandante dal 2010.

Siffatte asserzioni risultano, per vero, infondate, giacché il regolamento chiamato in causa non manca di contenere il principio generale di rispetto delle norme codicistiche: il contrario della norma in questione, che prevede, invece, l'obbligo di riferire, in deroga ad esse. Il prefetto parla, poi, di sconforto, che prova pensando al pregiudizio per il quale, quando si parla di Corpi dello Stato e Istituzioni, si ritiene che una categoria interpreti meglio il principio di fedeltà repubblicana di altre. Ciò stigmatizzato, si legge nel prosieguo delle dichiarazioni: Non credo di dire un'eresia se chiedo che alla catena gerarchica custode di notizie riservate vada garantita la stessa presunzione di innocenza (?) e buona fede che, in questo Paese, viene riconosciuta a qualsiasi pm. Precisa, ancora, il prefetto che si parla di sicurezza, prevenzione, nuovi modelli di difesa civile.

E allora qualcuno mi dovrebbe spiegare di cosa si dovrebbe occupare un capo della Polizia o un vertice delle forze dell'ordine privo di qualsiasi notizia. Ormai, al mondo, non esiste più nessuno che non riconosca che l'unico principio cui ispirare strategie di prevenzione efficaci sia quello olistico che dimostra come organismi complessi, come nel caso della sicurezza, non siano riconducibili alla semplice somma delle loro parti.

E puntualizza, che lo scambio di informazioni è fondamentale, ad esempio, nelle strategie antiterrorismo e di prevenzione e sicurezza: considerazione, invero, che nessuno, anche alla luce del semplice buon senso, potrebbe mai ardir confutare. A questo punto il discorso del capo della Polizia vira sulla recente notte di violenze a Torino, in occasione della partita di calcio. E il prefetto chiede se sia eversivo che il capo della Polizia venga informato in via gerarchica dal questore di Torino dello stato di avanzamento della ricerca della verità e se sia eversivo che il capo della Polizia invii una circolare in cui chiede a prefetti e questori che, di qui in avanti, le ragioni della safety debbano prevalere su quelle in senso stretto dell'ordine pubblico.

Conclude, allora, il prefetto: Cosa c'è di antidemocratico in chi si assume delle responsabilità? Orbene, alla luce delle affermazioni che precedono, ritengo che sia doveroso, per chi abbia non certo marginali responsabilità istituzionali, offrire una serie di riflessioni all'attenzione tanto degli addetti ai lavori, quanto e ancor più dei cittadini, non senza rimarcare che non è certo il caso di parlar di eversione o antidemocraticità.

Io, come rivendica il prefetto, servo - non meno di lui - lo Stato, che è, per miglior precisione, lo Stato di diritto, fondato su tre cardini: il legiferare, il governare, il rendere giustizia, senza possibilità di "invasioni di campo". Ove, al contrario, ciò avvenga, non può più parlarsi di Stato di diritto, bensì, nel migliore dei casi, solo di Stato - termine dalle infinite declinazioni -, che può essere lo Stato centralista di Hegel o quello militarista di Federico di Prussia. E anche in tali casi un capo della Polizia potrebbe legittimamente asserire che serve lo Stato. Non potrei, tuttavia, dirlo io, che servo lo Stato nella sua espressione giudiziaria autonoma e indipendente: uno Stato, appunto, dalle triplici fondamenta. E sorprende che il capo della Polizia si senta offeso dal Csm, quasi fosse stato egli stesso l'ispiratore della norma: circostanza cui io, mai più, avrei inteso volgere il pensiero.

Tuttavia, con le sue parole, il prefetto rischia di offrire argomenti utili a qualcuno che, invece, l'ha pensata. Non meno sorprendente giunge il richiamo del "principio olistico", ben noto al colto ed all'inclita. E, peraltro, il richiamo è correlato all'esigenza di scambio di informazioni et similia. Ma io domando come si possa leggere la piana, esemplare prosa del Csm in termini di negazione di tale esigenza. Ebbene, olismi e solecismi a parte, io nego che una negazione siffatta possa lontanamente cogliersi nelle motivazioni del Csm.

Lo nego fermamente e, quale magistrato, fieramente. E mi disturba a tal punto la locuzione, non provvida, qualsiasi pm, che desidero rivendicarla per me stesso, giacché mi identifico e mi riconosco, con orgoglio, in "qualsiasi pm" che svolga, con onestà intellettuale, probità e professionalità, le proprie funzioni. E ciò, non senza aver ben presente che, alla pur remota epoca (anni 1991-1993, all'incirca) in cui ero impegnato nella conclusione del dibattimento sul crack del Banco Ambrosiano e nella condivisione della fondazione della Dna, con altri 19 valenti colleghi e con il procuratore nazionale Siclari, il prefetto doveva già essere, come certo era, un degno e valente esponente di quelle istituzioni, di quel cardine dello Stato che è l'esecutivo, legitur il governo, non potendo pensare di rappresentare il legislativo né il giudiziario.

E vorrei richiamare all'attenzione del capo della Polizia come lo scambio e la circolazione delle notizie investigative siano, da lungo tempo (nella loro ovvia perfettibilità), assicurati dal coordinamento del procuratore nazionale antimafia, dei procuratori generali e distrettuali, dall'opera di raccordo dei comandanti provinciali di CC e GdF, questori, capi di Squadre mobili, Digos e via elencando. E mi domando chi mai potrebbe negare siffatta realtà.

Quello che precede intende costituire una voce, non men che ferma, nella discussione sorta intorno alla delicata problematica. E sono persuaso che in tal senso il capo della Polizia la percepirà. E così facendo rafforzerà il mio dire, allorché mi occorra di dibattere con qualche collega, amareggiato e riecheggiante, talora, l'incipit della prima catilinaria: Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? Noi non abbiamo un Cicerone né un Catilina né l'animus ferox dei loro tempi. Abbiamo solo l'indomabile volontà di seguitare a difendere lo Stato di diritto: in tal nostro sentire io credo voglia ritrovarsi il capo della Polizia, il cui ruolo di servitore dello Stato non è oggetto di discussione.

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