SMILITARIZZAZIONE DELLA GDF, RIPUBBLICHIAMO UN AMPIO ARTICOLO DELLA RIVISTA DI FICIESSE, "FINANZIERI E CITTADINI", DEL 2002 SU "MERITI, LIMITI E FUTURO DI UNA GDF A STRUTTURA MILITARE"
Il dibattito che si acceso a seguito della presentazione e dell'inizio della discussione del disegno di legge presentato da alcuni parlamentari di Rifondazione comunista sulla smilitarizzazione e lo scioglimento della Guardia di finanza, ci consiglia di ripubblicare di seguito un nostro servizio apparso su "Finanzieri e Cittadini", la rivista semestrale della nostra associazione, a giugno del 2002.
Abbiamo anche aggiunto l'immagine di una storiella satirica, intitolata "La gara di canoa", che ebbe allora un certo successo e che ci sembra ancora piuttosto graziosa e attuale.
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Dalla rivista “FINANZIERI E CITTADINI”(organo di informazione dell’Associazione Ficiesse) n. 3 dell’anno 2002, pagine 5 – 12.
I ARTICOLO
“GDF, LA STAGIONE DELLE RIFORME”
Una serie di articoli per capire se è stata fatta vera innovazione
(di Giuseppe Fortuna)
giugno 2002
Con due distinte deleghe del 1997 e del 2000, la Guardia di finanza ha avuto l'occasione per porre rimedio ai problemi che avevano creato tensioni e malcontento nel personale.
Ma gli interventi hanno anche una valenza più ampia perché, contemporaneamente, si sono riorganizzati anche i "competitori istituzionali" del Corpo, vale a dire: Polizia di Stato e Carabinieri sul lato della sicurezza, Agenzie fiscali sul fronte tributario. Queste ultime, in particolare, hanno palesato l'intenzione di volersi in qualche misura riappropriare delle funzioni di prevenzione e di ricerca dell'evasione sul territorio, dimostrando una flessibilità e una fantasia sconosciuti alla mentalità un po' troppo rigida dei militari; inoltre, grazie a stipendi e incentivi da azienda privata, dimostrano un maggiore appeal rispetto ai colleghi militari, angustiati dall'esodo apparentemente inarrestabile delle professionalità migliori.
Continua, poi, ad aleggiare una certa diffidenza, e non solo all'interno del Corpo, sul fatto che un organismo gestito secondo logiche militari tradizionali possa riuscire ancora oggi a produrre professionalità di elevato profilo e specialmente a mantenere entro limiti fisiologici il fenomeno della devianza e della corruzione.
D'altra parte, la Gdf ha anche il problema di non essere strettamente indispensabile, come lo sono, invece, polizia, dogane, esercito. Ecco perché è importante, se non addirittura esiziale, per le Fiamme gialle, riuscire a intuire più rapidamente degli altri la domanda di nuovo che viene dalla società civile.
Ma proviamo a chiarire quali siano i principali punti di forza e di debolezza del Corpo in uno scenario che sta rapidamente cambiando.
IL VALORE DA DIFENDERE
La Gdf è un'organizzazione che non trova riscontri in nessun altro paese evoluto. La sua principale caratteristica sta nell'essere contemporaneamente polizia tributaria e polizia giudiziaria. La concentrazione di queste due diverse competenze in un unico contesto ha un notevole valore, tanto che in altri paesi vengono costituiti organismi specifici, in genere agenzie, composti da personale di estrazione professionale diversa (poliziotti, magistrati, fiscalisti, economisti). In Italia questa agenzia c'è già e si chiama, appunto, "Guardia di finanza"; i suoi agenti hanno imparato: 1) ad accertare gli illeciti penali con la professionalità tipica degli uffici finanziari; 2) ad accertare gli illeciti fiscali con la professionalità tipica della polizia giudiziaria. Tale miscela di poteri e competenze, questo stare a cavallo tra due funzioni così diverse (pg e pt) rappresenta la più autentica identità del Corpo e il vero valore da difendere. Il finanziere, insomma, è un poliziotto che non si spaventa se si tratta di leggere carte e documenti contabili e, nel contempo, è un verificatore fiscale capace di "vedere" nelle contabilità le fatture false, le truffe, il riciclaggio.
COME SI È CREATO IL VALORE
Questo patrimonio non è frutto del caso, ma è il risultato di un lungo percorso.
La Gdf nasce storicamente per svolgere una funzione servente nei confronti dell'amministrazione finanziaria civile; i suoi uomini erano destinati a svolgere le attività disagiate nelle quali il personale degli uffici finanziari non poteva o non voleva essere impiegato: vigilanza sui bricchi alpini, posti fissi in luoghi malsani, verifiche a malavitosi, eccetera. A tale posizione di subalternità, si è venuta gradualmente ad affiancare, col passare degli anni, una vera e propria funzione di supplenza rispetto agli organi dell'amministrazione civile, dovuta a fenomeni direttamente o indirettamente legati ad una generale processo di impoverimento della pubblica amministrazione. In altri termini, quando organismi pubblici evidenziavano difficoltà a perseguire i loro fini istituzionali, il legislatore li ha spesso fatti supportare dalla Guardia di finanza, alla quale, però, ha dovuto contestualmente attribuire funzioni e poteri degli uffici "sostituiti". L'esercizio dei poteri degli uffici ha permesso ai militari di acquisirne, col tempo, la specifica professionalità e all’organizzazione di consolidare un patrimonio di conoscenza e di competenza straordinariamente diversificato.
Nel 1982 c'è stato un ulteriore salto di qualità. Con l'abrogazione della pregiudiziale tributaria, infatti, la Gdf, che era stata fino ad allora quasi esclusivamente impiegata per perseguire i reati di contrabbando e valutari, ha cominciato ad essere utilizzata dalle Procure della Repubblica per l'accertamento dei reati tributari. Con la conseguenza che il Corpo ha potuto arricchire il suo bagaglio professionale con i moduli operativi tipici della funzione giurisdizionale.
MERITI E LIMITI DEL MODELLO MILITARE
Nell' evoluzione descritta ha avuto certamente un ruolo determinante la strutturazione militare. Non v'è dubbio, infatti, che negli anni '70 ed '80 la mancanza di fronti sindacali interni e la minore permeabilità all'invadenza dei partiti abbiano favorito il successo dell'organizzazione.
Ci si dovrebbe domandare però se in quel periodo storico i successi conseguiti dal Corpo siano dipesi più dai punti di forza della sua struttura militare, con particolare riferimento alla reattività operativa tipica dei reparti, piuttosto che dalla debolezza delle pubbliche amministrazioni civili. L'argomento avrebbe bisogno di una più ampia riflessione, ma è certo, comunque, che, in quegli anni, il sacrificio dei diritti individuali e collettivi propri della condizione militare erano di gran lunga compensati da una lunga serie di benefit, diretti e indiretti, che rendevano tollerabile, se non addirittura conveniente quel particolare status.
Tra questi benefit, assumeva fondamentale importanza il regime pensionistico di favore il quale, unitamente ad altri vantaggi economici, permetteva dopo venti anni di servizio di conseguire una pensione di buona entità. Insomma, una situazione di privilegio che compensava disagi quali l'accentuata mobilità di sede e di incarico, l'aleatorietà delle carriere e l'impossibilità di pianificare il futuro delle famiglie. La pensione di anzianità, perciò, è stato un potente fattore di mantenimento del personale di sempre più elevata qualificazione che, col crescere dei compiti, si andava via via formando all’interno dell'organizzazione.
Un'ulteriore considerazione riguarda il rapporto con i cittadini. In quegli anni, l'opinione pubblica percepiva in modo sostanzialmente positivo la figura, un po' autoritaria, del finanziere-soldato. Tale sensazione derivava in larga parte dalle caratteristiche del sistema socioeconomico di allora basato, su un'economia sommersa di enormi dimensioni. Sicché l'esistenza di una polizia tributaria organizzata militarmente appariva giustificata da quella sorta di "guerra senza quartiere" che bisognava combattere giornalmente contro un esercito subdolo e sfuggente di evasori fiscali.
IL CAMBIAMENTO DEGLI ANNI NOVANTA
Nel 1990 inizia in Italia una serie impressionante di trasformazioni su tutti i fronti: politico, sociale, culturale, economico. Per non rimanere emarginati in Europa, si comincia a intervenire sul fronte dei conti pubblici, dell'economia sommersa e dell'inefficienza della pubblica amministrazione. Si interviene anche sui regimi pensionistici privilegiati e su quasi tutti i benefit di cui godevano i militari. I cittadini, obbligati a maggiori sacrifici, cominciano anche a pretendere servizi di standard europeo e a chiedere ai dirigenti pubblici maggiore "managerialità", cioè capacità di produrre servizi di quantità e qualità crescenti, a costi decrescenti. Cominciano ad andare di moda parole come "trasparenza" e "cultura del servizio". E comincia ad entrare in crisi la percezione, fino ad allora positiva, del finanziere-soldato. In alcune aree del paese si verificano episodi di aperta ribellione che investono il personale in grigioverde, tacciato di interpretare il ruolo di miope e arrogante gabelliere. L'immagine del Corpo viene scossa da nuovi, ulteriori scandali per fatti di corruzione e di concussione che arrivano a toccare gradi elevati. Il contribuente pretende un fisco più semplice e vuole essere informato e aiutato; trova stolidi e arroganti gli atteggiamenti "rambistici". Tutto ciò provoca crescente disorientamento e disagio all'interno della Guardia di finanza, aumenta la conflittualità dei singoli con l'amministrazione, esplode il fenomeno dei congedi anticipati, specialmente nella categoria degli ufficiali.
Questo, in estrema sintesi, il quadro che hanno avuto davanti i generali in grigioverde che hanno realizzato la riforma del 2000. I prossimi anni ci diranno se sono stati capaci di fare le scelte giuste.
(giugno 2002)
GIUSEPPE FORTUNA
II ARTICOLO
"I NODI IRRISOLTI"
Perpetuati alcuni difetti del precedente modello
(di Franco Simoni)
giugno 2002
La nuova struttura adottata dalla Guardia di finanza con il regolamento approvato dal DPR 34 del 1999 avrebbe dovuto rispettare i criteri e principi direttivi indicati dall'articolo 27 della legge 449 del 1997. In sintesi, si trattava di: l) distinguere tra strutture con funzioni finali e strutture con funzioni strumentali e di supporto; 2) prevedere funzioni e dislocazioni territoriali omogenee rispetto alle altre pubbliche amministrazioni; 3) garantire economicità, speditezza e rispondenza al pubblico interesse.
Il primo criterio è stato sostanzialmente osservato grazie in particolare all'introduzione dei reparti tecnico logistico amministrativi (RTLA) e alla costituzione di un apposito ruolo per gli ufficiali del Corpo. Perplessità, invece, sorgono quando si tratti di valutare la conformità alla delega della nuova struttura rispetto agli altri criteri. Proveremo a sintetizzare alcuni dei nodi che la riforma non ci sembra abbia sciolto.
ECCESSIVA LUNGHEZZA DELLA STRUTTURA
Era uno dei principali problemi del Corpo e lo è rimasto anche col nuovo modello. Alla soppressione delle Zone, infatti, ha fatto da contraltare l'introduzione dei Comandi interregionali, destinati ai neogenerali di corpo d'armata. In tutto, si continuano a contare fino a 6/7 livelli gerarchici, senza considerare quelli di staff. Viene perpetuato, così, un difetto grave per un'organizzazione da gestire "per obiettivi". Infatti, oltre alle diseconomie dovute alla duplicazione di funzioni, si rende molto difficile la negoziazione dei piani annuali degli obiettivi. I livelli dovevano essere al massimo quattro: nazionale, regionale, provinciale ed operativo. E tutti i dirigenti, generali di corpo d'armata compresi, dovevano rispondere per i risultati della gestione. Per la collocazione dei generali di corpo d'armata c'erano due possibilità: collocarli alla direzione dei 5-6 comandi regionali di maggior rilievo socio-economico, oppure dar loro la direzione delle quattro macroaree di cui il Corpo si compone (reparti territoriali, reparti speciali, reparti di reclutamento e addestramento, reparti tecnico logistico amministrativi).
DIMINUZIONE DELL'AUTOFUNZIONAMENTO
Le risorse umane impiegate dalla Guardia di finanza nell'autofunzionamento rimangono, di fatto, superiori a quelle destinate ai processi di tipo diretto, quelli, per intenderci, che portano alla realizzazione di prodotti versati a "clienti esterni".
Oltre ad eliminare, come appena detto, alcuni degli attuali livelli, sarebbe stato necessario: 1) continuare la strada, iniziata nel 1999 e poi abbandonata, della reingegnerizzazione dei processi di funzionamento attraverso il benchmarking e la individuazione delle best practices; 2) incoraggiare le esternalizzazioni, prevedendo anche una politica di reclutamento coerente con il graduale abbandono di tali impieghi; 3) introdurre strumenti di misurazione dei prodotti delle attività di funzionamento; 4) prevedere incentivi monetari collegati all'effettivo conseguimento degli obiettivi di produttività e di economicità annualmente negoziati per le attività di funzionamento.
MANCANZA DI SISTEMI PREMIALI LEGATI AI RISULTATI CONSEGUITI
La revisione organizzativa non ha modificato la vecchia prassi degli incentivi scollegati dal conseguimento effettivo di risultati di produttività, economicità e/o qualità. Gli interventi premiati di tipo monetario sono "a pioggia", oppure sono collegati al grado e alla posizione gerarchica ricoperta.
Poi, vi sono gli encomi, cioè i cosiddetti "incentivi d'ordine morale", sui quali la riforma non ha in alcun modo inciso. Si tratta di ricompense non monetarie, attestazioni riferite ai soli comportamenti eccezionali, utili ai fini degli avanzamenti in carriera ma senza alcun riferimento agli obiettivi di piano. Inoltre, la valutazione dell'eccezionalità compete, in modo fortemente discrezionale, agli ufficiali dirigenti e, tra questi, in particolare, ai generali di corpo d'armata. Insomma, strumenti orientati molto più al rafforzamento dei valori di obbedienza, che al miglioramento della produttività dell'organizzazione.
GLI STRUMENTI PER IL CONTROLLO DI GESTIONE
Sul fronte del controllo di gestione si è registrato, più che un rallentamento, una vera e propria involuzione. Innanzitutto, il cruscotto direzionale non è stato ancora completato con i sistemi informativi sulla quantità della produzione (Sirend) e della qualità (Siqual). Di conseguenza, è operativo il solo Siris che, però, monitorizza esclusivamente le ore di lavoro versate sui processi ma non i risultati che da questi scaturiscono. Ma ciò che sembra più grave riguarda la direttiva generale del ministro, con particolare riferimento alla griglia degli obiettivi numerici. Da due anni a questa parte, infatti, la griglia non riporta più le ore/persona effettivamente consuntivate dall'archivio Siris ma si limita a riprodurre i dati programmati negli anni precedenti come obiettivi. Insomma, i risultati della gestione sono effettuati sulla base di "stime" prive di vincoli oggettivi.
COMPETENZE TRA I REPARTI IN MATERIA DI VERIFICA FISCALE
Sul fronte operativo, la riforma ha distinto le competenze per le verifiche fiscali dei diversi reparti di esecuzione del servizio (brigate, tenenze, compagnie, nuclei provinciali e nuclei regionali) sulla base del criterio del volume d'affari conseguito dai soggetti economici operanti sul territorio. La scelta non è condivisibile perché le verifiche sono processi eterogenei quanto a input, metodologie di controllo e a volte, addirittura, a finalità. Le competenze avrebbero dovuto essere definite in ragione delle variabili appena citate.
ASSENZA DI MODULI OPERATIVI PER LA PREVENZIONE NEL SETTORE DELLE IMPOSTE INDIRETTE E SUI REDDITI
La riforma non incide su uno degli inadempimenti "storici" del Corpo che per la legge d'ordinamento del 1959 deve, non solo reprimere, ma anche prevenire le violazioni finanziarie. Le articolazioni operative avrebbero dovuto essere strutturate per tipologie di processi di lavoro e distinguendo i servizi destinati alla prevenzione da quelli deputati alla repressione degli illeciti amministrativi e penali.
FUNZIONI DI COMANDO
L'accesso al grado di generale di corpo d'armata avrebbe dovuto consentire l'affrancamento dei tenenti e dei capitani più giovani dalle funzioni di comando. Ne sarebbe derivato un duplice vantaggio: da una parte, il recupero alla produzione diretta di risorse di pregio, dall'altra, lo crescita del tenore professionale dell'intera categoria ufficiali che avrebbe potuto affinare per un te"-,po più lungo i fondamentali della difficile professione.
(giugno 2002)
FRANCO SIMONI
III ARTICOLO
“L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEI NUOVI COMANDI INTERREGIONALI
Riforme un po’ troppo tarate sulle aspettative dell’elite che le ha concepite
(di S. Innamorato e F. Simoni)
giugno 2002
La riforma avvenuta nella Guardia di finanza è stata presentata e illustrata in maniera positiva e come una conferma della capacità del Corpo di sapersi dotare di strutture che rispondono e si adeguano alle esigenze della società in continua evoluzione.
Così si è verificato, tra l'altro, che gli "Ispettorati", retti da generali di divisione sono stati trasformati in comandi "leggeri" e, per evitare l'appesantimento dei livelli di comando, i comandi di Legione sono stati assorbiti dai Comandi regionali (già comandi di Zona).
Nel contempo, anche gli organici del ruolo ufficiali sono stati notevolmente aumentati nei gradi di colonnello, generale di brigata e di divisione con lo fruizione del nuovo grado di generale di corpo d'armata. Agli ufficiali con il massimo, nuovo grado dovrebbero essere riservati i comandi "leggeri", cioè i preesistenti Ispettorati.
Varie possono essere state le motivazioni che hanno determinato queste innovazioni, ma alcune, inespresse, meritano un cenno.
Per poter avere il diritto a percepire la maggiorazione sulla retribuzione spettante ai generali di divisione, occorreva che al grado corrispondesse anche una funzione di comando contraddistinta, almeno sulla carta, da obiettivi di carattere operativo che comunque non potevano essere assegnati agli Ispettorati.
Tenuto conto della naturale riluttanza dei generali di divisione dell'epoca di ritornare a comandare alcune Zone che potevano essere individuate sullo base di criteri di importanza, al fine comunque di poter beneficiare dell' anzidetta maggiorazione retributiva offerto dallo normativa, anziché abolirli, gli Ispettorati sono stati trasformati in comandi "leggeri" ai quali assegnare obiettivi a livello inter-regionale e nel contempo, come già detto, i comandi di Legione sono stati assorbiti nei Comandi regionali.
Poco importava, infatti, che i generali di brigata ritornassero o fare i colonnelli ed i colonnelli, a loro volta, ritornassero a fare i tenenti colonnelli.
Una volta raggiunto lo scopo anzidetto, i generali di divisione ideatori delle riforme sono stati tutti promossi automaticamente, per conferimento, generali di corpo d'armata e hanno visto allungare da 64 o 65 anni il limite per lo loro cessazione dal servizio. Il loro numero è stato fissato in 9, laddove i Carabinieri, che sono il doppio dei finanzieri, ne hanno previsti 8; ma specialmente sono stati appositamente creati per loro dei comandi - gli Interregionali, appunto - che sono dichiaratamente inseriti nella linea gerarchica, ma che il Comandante generale inspiegabilmente dimentica di considerare quando assegna gli obiettivi annuali di piano.
Questi, infatti, sono attribuiti ai Comandanti regionali lasciando, in tal modo, esenti i generali di grado più elevato da una scomoda responsabilità. Insomma, una gerarchia "a intermittenza" che indossa le greche quando gestisce il potere, le dismette quando c'è da rispondere dei risultati raggiunti.
(giugno 2002)
S. INNAMMORATO
F. SIMONI