«TRASFERITO FINANZIERE CHE NON SI FACEVA CORROMPERE». IN UN INTERROGATORIO DELLA TESTIMONE CHIAVE IL RIFERIMENTO A UN MILITARE CHE RIFIUTÒ MAZZETTE E FAVORI (Nuova Venezia)

lunedì 14 luglio 2014

 

Nuova Venezia – 20 giugno 2014
 
MINUTILLO: «TRASFERITO FINANZIERE CHE NON SI FACEVA CORROMPERE»
 

In un interrogatorio della testimone chiave il riferimento a un militare che rifiutò mazzette e favori. «Già una volta Baita evitò l’arresto». «Mi disse di una provvista per Tremonti attraverso Milanese»

 

di Renzo Mazzaro

 

VENEZIA. Quel giorno Berlusconi cercava affannosamente Galan senza trovarlo. Il presidente del Veneto era a pesca, almeno a venti miglia dalla costa, impossibile raggiungerlo. A tenere a bada Berlusconi al telefono c’era Claudia Minutillo, che s’inventava le scuse più verosimili: «Galan è dal dentista», «è sotto anestesia, l’intervento è lungo e difficile». Ma bisognava pure uscire dal dentista, così le viene in soccorso Vittorio Altieri buonanima, titolare all’epoca dell’omonimo studio di progettazione, presente in tutti i grandi lavori del Veneto: «Ci penso io, Claudia». E spedisce un motoscafo a tutta manetta in alto mare, a raggiungere la barca di Galan per farlo rientrare sottocosta, a portata di telefonino.

Quante ne ha viste la Claudia Minutillo, prima come segretaria-ombra di Galan per cinque anni e poi dentro ad Adria Infrastrutture, braccio armato della Mantovani di Piergiorgio Baita, che stava dentro anche al Consorzio Venezia Nuova. Le due polarità, quella politica e quella tecnica, dello scandalo del Mose. Ha passato gli ultimi due anni con l’angoscia che prima o poi doveva capitare. Ma anche con il retropensiero che poteva non capitare niente, perché tutti erano pagati. Tutti incassavano soldi: magistrati, finanzieri, politici, tecnici. Era il sistema e lei stava dentro alle due onnipotenze che lo gestivano.

Così funzionava da anni: perché il meccanismo avrebbe dovuto fermarsi? Finché la mattina dell’arresto il mondo le è caduto addosso: non poteva credere che fosse successo e insieme è stata una liberazione.

«Finalmente era finita», dice oggi, che non è ancora uscita dalle indagini. Ha riempito quattro verbali di cose che sono state raccontate. Altre sono ancora secretate, perché restano obiettivo dell’inchiesta. Ha patteggiato un anno e quattro mesi per fatture false ma è ancora indagata per concorso in corruzione.

Claudia Minutillo ha paura. Siamo nello studio del suo avvocato, si consulta per valutare cosa dire e cosa non dire. Ha paura di sembrare quella che si vendica. Ma ha anche ha paura fisica. L’hanno minacciata. «Una mattina ero agli arresti domiciliari ed è arrivata una pattuglia della polizia. Mi hanno chiesto i documenti, poi altre cose con un tono allusivo: i vetri delle finestre non sono blindati? Non ha paura visto che vive sola? Mi parlavano controllando le telecamere, l’ho detto subito alla procura».

I due agenti non erano titolati al controllo, sono stati trasferiti.

«Per anni mi sono sentita dentro un film», racconta. «Baita era sicuro di farla franca. Contava sulla rete di controspionaggio che aveva messo in piedi, che gli è costata qualche milione di euro. Non per niente gli hanno trovato la copia dell’ordinanza di arresto nella borsa». Non solo. Piergiorgio Baita aveva un precedente di lusso a suo favore: un anno prima il Gip (non l’attuale Gip Alberto Scaramuzza) aveva respinto la richiesta di custodia cautelare avanzata dai pm.

Notizia mai uscita. Come altre del racconto della Minutillo: «Ero a cena a casa di Ghedini con Colombelli e Galan quando Ghedini disse a Galan che avrebbe potuto sfruttare la ditta di Colombelli anche per finanziare le campagne elettorali in Veneto, con il sistema della sovrafatturazione. Dicevano che fanno tutti così».

Con i particolari di contorno: «Galan prendeva soldi, certo, me lo confidava lui e me lo diceva chi glieli dava. Imprenditori amici, ho fatto i nomi ai magistrati. Durante una campagna elettorale, quando ancora lavoravo con lui, gli portai una busta consegnatami da Baita. Era il 2004 mi pare. Baita in alcune occasioni diceva che bisognava preparare la provvista per Mazzacurati. Era prassi abituale quando Mazzacurati andava a Roma, dove dicono che incontrava Gianni Letta. Una volta mi disse che la provvista era per il ministro Tremonti, attraverso Marco Milanese».

Almeno uno non si faceva pagare. Val la pena sapere chi è. Questa storia salta fuori durante un interrogatorio della Minutillo, quando il pm legge i nomi dei presenti. C’è anche quello di un finanziere, il maggiore Amos Bolis. Lei ha un sobbalzo, parla all’orecchio del suo avvocato Carlo Augenti, il quale chiama fuori il pm Stefano Ancilotto: «La mia cliente non intende parlare perché ha sentito questo nome riferito da Baita». Ancilotto rientra e davanti a tutti spiega: «Il finanziere di cui parlate era il fratello del maggiore Bolis ma è stato trasferito perché non si è fatto corrompere».

Chi l’ha fatto trasferire? Un riferimento forse si può trovare nell’interrogatorio di Piergiorgio Baita il 28 maggio 2013. Baita parla di Roberto Meneguzzo, ad di Palladio Finanziaria, che aveva consegnato a Mazzacurati un telefono con una tecnologia non intercettabile. «Meneguzzo dice a Mazzacurati: ho fatto spostare questo della Finanza», dice Baita. «Adesso ti arriverà la notifica, ti interrogherà qualcuno, devi dire ecc». I pm riusciranno a scoprire il nome interrogando Mirco Voltazza.

 


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