L’AMMINISTRAZIONE NON PUO’ NEGARE IL RIMBORSO DELLE SPESE LEGALI AL MILITARE SULLA BASE DI UNA SUA CONDOTTA GENERICAMENTE RIMPROVERABILE - di Cleto Iafrate
Il Caso. Un militare viene segnalato alla Procura militare con l’accusa di aver attestato falsamente la sua presenza in servizio in giorni cosiddetti superfestivi (Natale e Pasqua) per ottenerne la speciale indennità. Il procedimento penale istaurato nei suoi confronti si conclude con una sentenza di assoluzione con formula piena (“perché il fatto non sussiste”) da parte del GUP del Tribunale Militare di Roma.
Giustizia è fatta, verrebbe da dire.
Ma quale giustizia? Quella di Peppone e del vitellino conteso?
Il militare, infatti, a questo punto chiede il rimborso delle spese legali sostenute per difendersi e ciò gli viene negato dall’amministrazione.
Il rimborso delle spese è previsto dell’articolo 18 del d.l. n. 67 del 1997, che così recita: “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato”.
La ratio della disposizione infatti è quella di tenere indenne il dipendente pubblico dai danni dal medesimo subiti a cagione dell’espletamento dei propri compiti, richiamandosi a tal fine anche una certa analogia con le norme stabilite dal codice civile per regolare il rapporto di mandato; e quindi con l’unico limite che non sussista, in atto, alcun conflitto di interesse tra le posizioni processuali delle parti. Nella fattispecie non c’era alcun conflitto d’interessi e la lite era riconducibile all’espletamento del servizio. Ciononostante, l’Amministrazione nega il rimborso sulla base di una condotta del dipendente medesimo genericamente rimproverabile e ritenendo altresì che l’imputazione non è connessa con l’assolvimento di obblighi istituzionali.
Il TAR darà ragione al militare (T.A.R. Abruzzo-Pescara, sez. I, n. 210, depositata il 5 maggio 2014). I giudici amministrativi stabiliscono che la pubblica amministrazione è tenuta a rifondere le spese di lite ai propri dirigenti e dipendenti per le azioni (civili, penali ed amministrative) promosse contro di loro, dovute all’assolvimento degli obblighi istituzionali o delle loro mansioni, quando è stata esclusa la loro responsabilità o sono stati assolti. La riconducibilità alle mansioni e/o agli obblighi istituzionali derivanti è ravvisabile ogni volta che “il dipendente (od il funzionario) non avrebbe assolto ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell'atto”. Nel caso in esame dai registri sono emerse le attività svolte al posto della fruizione del riposo, sì che è stato confermato questo presupposto; perciò la PA non può rifiutare la refusione sulla base di una generica rimproverabilità della condotta del dipendente medesimo, peraltro non affatto contestata neanche in sede disciplinare.
Ora possiamo dire che somma giustizia è fatta.
La giustizia o è anche sostanziale, oppure è somma ingiustizia.
CLETO IAFRATE
Condirettore laboratorio delle idee FICIESSE
Presidente della Sezione FICIESSE di Taranto
Sullo stesso tema vedi anche:
PRINCIPIO DEL "NEMINEM LAEDERE": APPLICABILITA' AI CONTENZIOSI TRIBUTARI