POLIZIA DI STATO: NOSTALGIA DEI TEMPI DEL GENERALE PES DI VILLAMARINA? - di Cleto Iafrate

venerdì 28 novembre 2014

Pubblichiamo l'ultima fatica di Cleto Iafrate, Direttore laboratorio delle idee di FICIESSE, che prende spunto da una interessante vicenda occorsa ad un Sovrintendente della Polizia di Stato.

In allegato anche le Sentenze richiamate nell'elaborato.

 

POLIZIA DI STATO: nostalgia dei tempi del Generale Pes di Villamarina?

di Cleto Iafrate

 

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. Il fatto – 3. L’analisi – 4. Conclusioni.

 

 

1. Introduzione

 

“Occorre vietare con rigore, non pure nelle caserme, ma nei privati domicili, al militare gregario e graduato, qualunque studio, qualunque lettura, anche di argomento militare, sì che un ufficiale scoperto autore di qualche scritto o perde il grado, o vede preclusa ogni via di avanzamento”.

Così scriveva il Generale Pes di Villamarina[1] (Cagliari 1777 - Torino 1852).

 

 

Quelli, evidentemente, erano altri tempi.

A quei tempi le forze armate e di polizia erano concepite principalmente “per sorreggere il trono”; lo prevedevano gli stessi regolamenti militari[2]. Ed ogni istanza democratica che si poneva in conflitto con il potere assoluto del sovrano veniva ferocemente repressa. I cittadini vivevano in uno stato di sudditanza e i militari erano addirittura sudditi di serie B, privi di qualsiasi diritto e delle più elementari libertà.

 

Sempre a quei tempi, ORGANI INVESTIGATIVI controllavano l’orientamento politico dei militari e  INFORMAVANO la gerarchia nel caso qualcuno mostrasse interesse per ideologie “disallineate”. I controlli erano particolarmente rigorosi verso coloro che manifestavano un qualche interesse per la lettura o per lo studio in generale. Si riteneva, infatti, che un militare istruito, di norma, fosse più resistente alle logiche militari di allora, ossia sorreggere il trono, anche con l’uso della forza.

 

Nel nostro tempo, invece, le forze armate e di polizia rispondono ad altre logiche. Esse sono concepite per servire le istituzioni democratiche ma soprattutto per garantire il libero articolarsi della dialettica democratica all’interno del Paese[3].

 

Ma siamo sicuri che i tempi siano veramente cambiati?

 

Di seguito un fatto dei giorni nostri che offre alcuni spunti per una riflessione a più ampio raggio.

 

 

2. Il Fatto

 

 

Si svolge in Porto Tolle, un piccolo Comune situato nel mezzo dell’area del delta del fiume Po, un’oasi di flora e di fauna quasi incontaminata.

Il protagonista della vicenda è un assistente Capo della Polizia di Stato. Il poliziotto fa anche parte della Comunità del Parco come rappresentante della Canottieri Adria, ma, soprattutto, realizza la sua vocazione ambientalista come presidente di un’associazione ecologista denominata “Amici del Parco del Delta del Po”. Si tratta di una organizzazione che raggruppa le sezioni locali delle più importanti associazioni di protezione ambientale nazionale: WWF, Italia Nostra, Legambiente e LIPU.

Le elezioni comunali del 25 e 26 maggio 2003 sono ormai alle porte e la coalizione di centro destra in Comune ha la maggioranza. Il poliziotto invia un suo scritto al Gazzettino di Rovigo. La lettera viene subito pubblicata sulle pagine dedicate alle notizie locali. L’autore - firmandosi come presidente dell’associazione “Amici del Parco” - prende pubblicamente le parti dello schieramento di centro sinistra in lizza per le elezioni il cui programma è ritenuto in linea con gli scopi dell’associazione da lui presieduta.

Nello scritto - dal titolo “Parco, dov’è finita la coerenza” - si duole della presenza di alcune contraddizioni nello schieramento di centro destra, che, in difformità dall’impegno preso negli anni precedenti da esponenti politici regionali e nazionali, ha inserito nel suo schieramento alcuni candidati ostili ai vincoli urbanistici e venatori imposti al Parco da una precedente legge regionale. La lettera si conclude nel seguente modo: “Il centro sinistra finalmente pare pensare, giustamente, al futuro del Paese in termini più moderni ….. E’ ora che i cittadini di Porto Tolle ….. salgano pure loro sul treno dello sviluppo che passa anche dalla Stazione Parco e la smettano di farsi ammaliare dalle avvizzite Sirene Antiparco”.

 

Da quel momento inizia per lui una lunga ed estenuante odissea giudiziaria, che si  è conclusa solo qualche mese fa.

I suoi superiori gli infliggono una sanzione pecuniaria pari a 2/30 degli emolumenti mensili per “inosservanza delle norme di comportamento politico fissate per gli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della Polizia di Stato[4]”.

Per evitare le pesanti conseguenze della sanzione, il poliziotto presenta un ricorso gerarchico. Come noto, una sanzione disciplinare, pesando negativamente sui giudizi caratteristici, preclude, o comunque limita, le vie di avanzamento.

Non andato a buon fine il rimedio interno, il poliziotto-ambientalista si rivolge alla giustizia amministrativa.

Con sentenza n. 519/2006 il TAR Veneto, nell’annullare la sanzione disciplinare, ribadisce un principio basilare e assolutamente condivisibile: “l’interpretazione dell’art. 81 della legge n. 121/1981, deve avvenire in senso conforme alle norme costituzionali sui diritti fondamentali previsti dagli artt. 18 e 21 della Costituzione”. Il TAR aggiunge che “non si poteva rimproverare al ricorrente di avere preso parte ad una competizione politica né può ritenersi che avere stilato l’articolo in discussione ne abbia compromesso le funzioni (di funzionario di P.S.). Né, infine, nella specie trattasi di una manifestazione di un’organizzazione o associazione politica. Semplicemente l’associazione nel cui nome egli ha sottoscritto l’articolo è non strettamente politica, ma latu sensu socio-culturale, e più specificamente, al più, ambientalista, che, in quanto tale, non prende parte alla competizione elettorale, ma è interessata a che la parte politica vincitrice inserisca nel programma la realizzazione dell’ente che è ragione e ispirazione della fondazione della associazione stessa. In tale quadro deve ritenersi che la pubblicazione dello scritto de quo costituisca manifestazione di pensiero e di espressione di tale libertà nell’ambito di una formazione sociale di cui all’art. 2 della Carta Costituzionale”.
 

L’amministrazione, però, non si dà per vinta e si appella al Consiglio di Stato per ottenere la riforma della sentenza, limitatamente al disposto annullamento della sanzione pecuniaria.

Il massimo Organo della giustizia amministrativa, contrariamente a quanto deciso dal TAR Veneto, stabilisce che la sanzione è legittima perché il poliziotto ha violato le norme di comportamento politico fissate per gli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della polizia.

Il Consiglio di Stato con sent. nr. 4259 del 14 agosto 2014 sancisce che in prossimità di una tornata elettorale il fatto di inviare una lettera ad un quotidiano locale, distribuito nel Comune ove presta servizio l’agente, nella quale ci si duole della presenza di alcune contraddizioni in uno schieramento politico in materia ambientale e si esprime l’auspicio che gli elettori si schierino per il fronte politico opposto, “lungi dal costituire una manifestazione di pensiero e di espressione di tale libertà nell’ambito di una formazione sociale di cui all’art. 2 della Carta costituzionale”, integra “un chiaro sostegno allo schieramento elettorale (…) ed una implicita, ma univoca, propaganda nello stesso senso”, come tale sanzionabile disciplinarmente.

 

3. L’analisi

 

 

La sentenza del Consiglio di Stato ed, in generale, tutta la vicenda suscita forti perplessità.

Se la Costituzione fosse un edificio - la casa di tutti gli italiani - i primi 12 articoli sarebbero gli architravi[5]; gli altri articoli, le mura perimetrali; le leggi di rango costituzionale, invece, rappresenterebbero la distribuzione degli spazi interni. Ebbene, la sentenza del Consiglio di Stato fa pensare ad un architetto che, per effettuare una diversa distribuzione di spazi interni di una casa, taglia ed elimina un pilastro compromettendone definitivamente la stabilità. Quella casa è destinata certamente a crollare.

Anche il filosofo Norberto Bobbio, riferendosi ai primi articoli della Costituzione, ha affermato: “Diritto dell’uomo, democrazia e pace sono tre momenti successivi dello stesso movimento storico: senza il riconoscimento dei diritti dell’uomo non c’è democrazia, senza democrazia mancano le condizioni minime per assicurare la pace...”.

 

Indubbiamente è necessario che le Forze armate e di polizia  rimangano estranee alle competizioni politiche. Ma fino a che punto si può comprimere l’esercizio di un diritto fondamentale, sancito dall’art. 2 della Carta Costituzionale[6], in nome della loro apoliticità?

 

Quando si parla di apoliticità dei corpi armati dello Stato ci si riferisce ad essi intesi come istituzione e non certo ai singoli appartenenti[7]. Intendo dire che esiste un’autonomia concettuale e giuridica tra le Forze di polizia e gli uomini che le compongono.

Fatta questa premessa, ci si deve chiedere: in quali occasioni il poliziotto rappresenta la polizia? Ossia, quando i comportamenti dei singoli sono in grado di “impegnare”, o possono risultare rappresentativi di un orientamento dell’Istituzione cui appartengono?

In ambito militare - e non penso che la smilitarizzata polizia goda di minor diritti e libertà - gli unici divieti legittimi promanano dall'art. 1483 del C.O.M.[8] che vieta ai militari di partecipare a manifestazioni politiche e di svolgere propaganda politica quando si trovino nelle condizioni di cui all’art. 1350 del C.O.M., cioè quando

a) svolgono attività di servizio;

b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;

c) indossano l’uniforme;

d) si qualificano, in relazione a compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali.

 

Chi non si trovi nelle su elencate (tassative) situazioni d’impiego ben può partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché … svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative (per un approfondimento sul punto si veda anche “Il militare e la politica: scelta d’amore o matrimonio combinato”).

 

Si ricorda che il protagonista dei fatti esposti, quando ha scritto la lettera, era certamente libero dal servizio; sicuramente al di fuori dei luoghi destinati al servizio; probabilmente si trovava nella propria abitazione oppure presso la sede dell’associazione; di sicuro non indossava l’uniforme. Infine, ma non meno importante, la lettera è stata scritta in nome e per conto dell’associazione; su carta recante l’intestazione dell’associazione socio-culturale e firmata dal suo presidente.

 

Affermare che il poliziotto ha violato le norme di comportamento politico equivale ad estendere il divieto di attività politica anche a tutti gli altri luoghi dove si svolge la personalità del cittadino-poliziotto. In questo caso la limitazione del diritto, si trasformerebbe in una vera e propria elisione del diritto stesso.

 

Pertanto si impone un ripensamento del principio di apoliticità del personale di pubblica sicurezza, sia civile che militare. Nonché la revisione del sistema sanzionatorio e premiale, delle assegnazioni degli incarichi, dei trasferimenti d’autorità, ecc; (per un approfondimento su questo punto si veda: La specificità militare alla prova di laboratorio).

 

 

4. Conclusioni

 

 

Se la sentenza del Consiglio di Stato, con cui si è conclusa la vicenda, suscita perplessità, il suo inizio - ossia le modalità con cui il fatto è stato portato a conoscenza dei superiori - desta addirittura preoccupazione.

L’autore dello scritto non è stato punito a seguito del reclamo di qualche candidato ritenutosi offeso o danneggiato dalla pubblicazione della lettera, ma, dopo aver esaminato gli atti processuali, i giudici del Consiglio di Stato scrivono che il superiore è stato “informato della pubblicazione di tale articolo da ORGANI INVESTIGATIVI.

 

La domanda sorge spontanea.

 

Se quelli in cui ha vissuto il Generale Pes di Villamarina erano altri tempi, noi in che tempi viviamo?

 

 

Cleto Iafrate

Direttore laboratorio delle idee FICIESSE

Presidente della Sezione FICIESSE di Taranto

 

 

[1]   Pès Emanuele, marchese di Villamarina, nacque a Cagliari nel 1777 - figlio del nobile Salvatore, Marchese di Villamarina, e di una nobildonna piemontese - intrapresa la carriera militare, partecipò sia alle guerre della prima coalizione antinapoleonica (dal 1795)  che a quelle della seconda (dal 1799 al 1801) combattendo in aiuto dell'esercito regio francese. Dopo che Napoleone calò in Piemonte, rimase in servizio e venne integrato nel nuovo esercito col grado di Capitano dal 24 luglio 1808.

Con la restaurazione della monarchia venne nominato Maggiore (17 luglio 1814) e, in quello stesso giorno, re Vittorio Emanuele I di Savoia lo volle proprio aiutante di campo.

L'anno successivo venne nominato Regio commissario presso l'esercito austriaco durante le ultime campagne napoleoniche e venne promosso al grado di Luogotenente Colonnello. Godendo della fiducia del re Carlo Felice di Savoia, venne promosso Colonnello.

Ritiratosi a vita privata nel 1851 con il grado di Generale di Corpo d'Armata, morì a Torino nel 1852.

 

[2] Si consideri che il Regolamento di disciplina militare, entrato in vigore l’1 gennaio 1860 (approvato con R.D. 30 ottobre 1859) contiene una premessa introduttiva, in cui si afferma che l’esercito è istituito prima “per sorreggere il trono” e poi per “tutelare le leggi e le istituzioni nazionali”. Una copia dell’edizione originale è reperibile presso la biblioteca dell’istituto geografico militare di Firenze.

 

[3] Così recita l’art. 24 della legge 121 del 1981:  “...la Polizia di Stato esercita le proprie funzioni al servizio delle istituzioni democratiche e dei cittadini, sollecitandone la collaborazione. Essa tutela l’esercizio delle libertà e dei diritti dei cittadini; vigila sull’osservanza delle leggi...; tutela l’ordine e la sicurezza pubblica...”.

 

[4] Ai sensi dell’art. 4, n.14, del DPR n. 737/1981, in relazione alla legge n. 121/1981, art. 81, che punisce “l'inosservanza delle norme di comportamento politico  fissate per gli appartenenti ai ruoli della  Amministrazione  della  pubblica sicurezza”. L’art. 81 della legge 121/1982 stabilisce che gli  appartenenti alle forze di polizia debbono in ogni circostanza mantenersi  al  di  fuori  delle competizioni politiche e non possono assumere  comportamenti  che  compromettano  l'assoluta imparzialità delle loro funzioni. Agli appartenenti alle forze di polizia è fatto divieto  di  partecipare  in  uniforme,  anche  se  fuori servizio, a riunioni  e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche o sindacali. E'  fatto altresì divieto di svolgere propaganda a favore o contro partiti,   associazioni,  organizzazioni  politiche  o  candidati  ad elezioni.

[5] La stessa Corte Costituzionale ha affermato che la Costituzione contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi si rango costituzionale, essi costituiscono l’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana (Sent. 1146/1988).

 

[6] All’assemblea costituente Aldo Moro precisò che le formazioni sociali sono quelle dove “si esprime e si svolge la dignità e la libertà dell’uomo … Facendo riferimento all’uomo come titolare di un diritto che trova la sua espressione nella formazione sociale, (si può) chiarire nettamente il carattere umanistico che essenzialmente spetta alle formazioni sociali che si vogliono vedere garantite nella Costituzione … e la tutela accordata a queste formazioni è nient’altro che una ulteriore esplicazione, uno svolgimento dei diritti di autonomia, di dignità e di libertà che sono stati riconosciuti e garantiti all’uomo come tale[6]” (Moro, Ass. cost., 24 marzo 1947).

 

[7] Quando il costituente ha inteso riferirsi ai singolari “funzionari ed agenti di polizia”, quali persone fisiche, l’ha fatto espressamente, così come accaduto nell’art. 98 della Costituzione.

[8] Codice dell'Ordinamento Militare - Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66.


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