CONTRIBUTO DI CLETO IAFRATE AL V° CONGRESSO NAZIONALE DI FICIESSE. RIFORMA COSTITUZIONALE: LA COSTITUZIONE DEL 1947 NON ESISTE PIÙ, SOSTITUITA PER UN UOMO SOLO AL COMANDO – di Cleto Iafrate
Pubblichiamo il bellissimo contributo del dr Iafrate per il prossimo congresso nazionale di FICIESSE. Un personale grazie a Cleto per il suo costante e sempre elevatissimo apporto di idee.
Simone Sansoni
CONTRIBUTO DI CLETO IAFRATE AL V° CONGRESSO NAZIONALE DI FICIESSE - La risposta del Laboratorio delle idee di FICIESSE al disegno di legge di riforma costituzionale (C. 2613-B), approvato dal Senato il 13 ottobre 2015
Il Direttore del Laboratorio delle idee di Ficiesse ritiene che tutta la giurisdizione del pubblico impiego e segnatamente quella delle forze dell’ordine sarebbe opportuno venisse affidata al giudice ordinario del lavoro.
Una proposta analoga fu avanzata da Piero Calamandrei in Assemblea costituente nel corso del dibattito sui nuovi rapporti tra il potere esecutivo e quello giudiziario, presumibilmente, allo scopo di evitare pericolose concentrazioni di potere.
Cleto Iafrate è convinto che quel sistema di pesi e contrappesi che i Costituenti vollero instaurare, a seguito della recente riforma costituzionale, si sia ulteriormente e rischiosamente sbilanciato a favore dell’esecutivo.
La Costituzione approvata nel 1947 non esiste più. Essa, il 13 ottobre 2015, è stata “sostituita” con una nuova Costituzione pensata per dare più poteri all’esecutivo, che, grazie al premio di maggioranza, sarà costituito da un solo partito, quello del Presidente del Consiglio.
Avremo un uomo solo al comando – a capo di una corte di nominati legati al vincolo della disciplina di partito – che, in teoria, potrebbe contare anche sull’obbedienza fedele, cieca e assoluta delle FF.AA. e dei corpi di polizia che detengono il monopolio della forza.
Di seguito il contributo di Cleto Iafrate al V° Congresso nazionale dell’Associazione Finanzieri Cittadini e Solidarietà.
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Innanzitutto saluto tutti i presenti.
Questi Congressi nazionali che hanno cadenza triennale rappresentano un tempo favorevole per esporre alle autorità che hanno accolto l’invito le nostre proposte e, in generale, per aprire un ponte di dialogo con la società civile che vada oltre i pregiudizi e le separatezze.
A proposito di pregiudizi, qualche giorno fa mi ha molto colpito il commento su facebook ad un articolo che parlava di diritti negati ai militari. L’internauta, utilizzando un nickname che gli garantiva l’anonimato, aveva scritto:
«Che vanno cercando questi militari? Cosa vogliono?
Ma quali diritti vogliono reclamare? In fondo loro sono dei privilegiati»; e proseguiva elencando una serie di benefici che, nella sua mente, porrebbero i militari in una posizione di privilegio rispetto agli altri cittadini che militari non sono. A giudicare dall’alto numero di “Mi piace” totalizzati dal commento, probabilmente, quella convinzione, in ambito civile, è più diffusa di quanto si possa immaginare.
Ebbene, sono qui anche per rispondere a quel commento. Lo farò alla fine. Prima intendo prospettare - come ho fatto in occasione del precedente Congresso nazionale[1] - una proposta di riforma che ritengo utile per risolvere problemi attuali, che hanno radici antiche, e necessaria per scongiurarne di nuovi.
Lo sapete perché i giudici del massimo organo di giustizia amministrativa sono appellati “Consiglieri”?
Il Consiglio di Stato è nato nel 1831 sotto forma di “Consiglio del Re”[2] e aveva lo scopo di assistere e consigliare il sovrano.
Oltre un secolo dopo, deposto il Re, in Assemblea Costituente - nel corso del dibattito sui nuovi rapporti tra il potere esecutivo e quello giudiziario - si discusse a lungo su quale dovesse essere la sorte dei “discendenti dei consiglieri del Re” e se avesse ancora un senso tenere l’organismo in vita.
Tra coloro che consideravano esaurite le ragioni storiche per cui erano state create le Sezioni del Consiglio di Stato vi era Piero Calamandrei. Egli, nel corso della seduta pomeridiana di giovedì 9 gennaio 1947, propose di trasferire alla Magistratura ordinaria le funzioni che le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato avevano fino ad allora adempiuto. Intendeva, cioè, trasformare il Consiglio di Stato in Sezione specializzata degli organi giudiziari ordinari, con la competenza a risolvere tutte le controversie fra i cittadini e la pubblica Amministrazione.
Nel corso del dibattito, allo scopo di sostenere la proposta, diede lettura del seguente passaggio ripreso da una relazione precedentemente redatta dallo stesso Consiglio di Stato:
«Ad assicurare la completa indipendenza del Consiglio di Stato, condizione inderogabile per l'efficace e sereno esercizio dell'alta funzione, pare necessario svincolare l'istituto da ogni rapporto di subordinazione e da ogni ingerenza del potere esecutivo, collocando questa Magistratura fuori dell'ordinamento gerarchico dello Stato». E poi aggiunse: «mantenendo in vita puramente e semplicemente le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, come sono ora costituite, si conserverebbero degli organi che, per riconoscimento dello stesso Consiglio di Stato, non hanno attualmente quell'indipendenza che è stata ritenuta essere requisito essenziale del potere giudiziario.[3]»
La proposta di Calamandrei fu respinta con diverse argomentazioni, che ritengo riassumibili nei seguenti tre passaggi ripresi dall’intervento che l’on. Aldo Bozzi fece in quella stessa sede:
1. «se questo istituto ha sempre funzionato bene, se ha dato prova di indipendenza, se ha concorso a mantenere la legalità nella pubblica Amministrazione, non vi è alcuna necessità di portarvi un così profondo rinnovamento»;
2. «il Consiglio di Stato ha sempre dimostrato di possedere un grande spirito di indipendenza»;
3. «(Se trasferissimo alla Magistratura ordinaria le funzioni del Consiglio di Stato) si avrebbe una forma di contaminazione del giudice togato il quale, abituato all’applicazione rigida della legge, dovrebbe invece decidere in una materia nella quale domina la valutazione del pubblico interesse … i giudici togati (sono) portati per loro conformazione mentale ad applicare rigidamente la legge anche in materia dove è necessario invece contemperarne l’applicazione con la valutazione del pubblico interesse, unendo cioè alla rigidità del giudice “la duttilità dell’amministratore”[4]».
Di seguito valuterò la situazione odierna alla luce dei tre punti precedenti:
1. LA LEGALITA’ NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
A me pare che oggi la pubblica Amministrazione faccia una gran fatica a “mantenere la legalità”. Un ennesimo allarme è stato lanciato qualche giorno fa dall’Unità di informazione finanziaria per l’Italia (Uif) - istituito presso la Banca d'Italia – che ha dichiarato: «La Pubblica Amministrazione è un "cono d'ombra[5]" dove le operazioni a rischio corruzione riescono a passare sotto silenzio».
Pochi giorni prima c’era andato giù pesante il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, che aveva dichiarato: «le persone “perbene”, oneste e con senso civico non riescono a fare carriera all'interno della pubblica amministrazione. Spesso vengono emarginate proprio perché hanno un'etica del lavoro».
Pare che in Italia la corruzione nelle pubbliche istituzioni costi ai contribuenti circa 60 miliardi all’anno.
Sul tema ci sarebbe tanto altro da dire, ma per il momento mi fermo qui.
2. IL GRANDE SPIRITO DI INDIPENDENZA
Alcuni magistrati amministrativi - talvolta in posizione di fuori ruolo – hanno incarichi presso i gabinetti e gli uffici legislativi dei Ministeri ed anche nella segreteria della Presidenza della Repubblica, della Presidenza del Consiglio dei ministri, altri invece provengono direttamente dalla pubblica amministrazione.
Vien da chiedersi: ma una tale commistione di funzioni (giudiziarie e amministrative) – che secondo alcuni potrebbe addirittura incrinare il principio fondamentale di separazione dei poteri (giudiziario, legislativo ed esecutivo) su cui si fonda la nostra Repubblica – può avere una qualche influenza sul “grande” spirito di indipendenza, che è requisito essenziale del potere giudiziario?
Non lo escluderei.
«Secondo quanto diramato dallo stesso Ministero della difesa, in Italia viene respinto il 95 per cento dei ricorsi proposti dai militari. Questo dato, già in sé allarmante ed anomalo, deve essere valutato considerando che nel 5 per cento dei ricorsi accolti sono compresi quelli puramente strumentali, proposti cioè per accedere ad atti amministrativi, per obbligare l’amministrazione a rispondere ad istanze o per chiedere l’ottemperanza di una sentenza. Di conseguenza, il numero dei ricorsi utili vittoriosamente esperiti contro il Ministero della difesa è ben inferiore al 5 per cento»; ad affermarlo è l’avv. Giorgio Carta[6], uno dei massimi esperti di diritto militare e già ufficiale dei carabinieri.
Non è questa la sede, ma sarebbe interessante verificare se esista una qualche relazione tra una così alta percentuale di ricorsi respinti e il fenomeno dei suicidi militari.
Il problema non è di poco conto: sapete che negli ultimi dieci anni si sono tolti la vita ben 500 cittadini in divisa?
Cinquecento sono tanti, è un piccolo esercito!
Il fenomeno appare in tutta la sua drammaticità se solo si considera che il tasso di suicidi tra poliziotti, carabinieri e finanzieri è circa tre volte più alto rispetto alla media nazionale[7].
Significative, allo scopo, sono le dichiarazioni del Co.Ba.R Carabinieri Calabria: «si vuole sempre far credere che i motivi che inducono a tali gesti vengono attribuiti o riguardano problemi di carattere personale, forse per evitare che vengano cercati dove realmente si nascondono. Non si può pensare che una percentuale così alta di suicidi sia riconducibile esclusivamente a meri problemi personali, tanto per distogliere l’attenzione sulle vere cause[8]».
Meriterebbe, inoltre, un serio approfondimento la circostanza che in alcuni casi di suicidio militare i parenti delle vittime non vogliono la partecipazione ai funerali dei superiori del corpo di appartenenza.
Il dato dei suicidi militari, di per se allarmante, ritengo sia addirittura sottostimato dal momento che il dato nazionale ricomprende anche i suicidi dei depressi, dei patologici e dei malati di mente che mai avrebbero potuto superare gli assai rigidi e selettivi test psicoattitudinali di accesso ai corpi militari e di polizia.
2. LA DUTTILITA’ DELL’AMMINISTRATORE
Il mondo militare, tanto noto quanto ignoto, ha un assetto ordinamentale unico nel panorama costituzionalistico; per la sua peculiarità, può essere definito un micro-Stato annidato in seno allo Stato democratico.
In pochi conoscono veramente come si articolano al suo interno l'esercizio del potere e che doveri (e diritti) vi sono per coloro che vi fanno parte.
Non tutti, per esempio, sanno che alla base di alcune norme essenziali dell’ordinamento militare vi è la regola dell’onore[9], che giustifica le numerose deroghe al principio di trasparenza degli atti amministrativi. Molti ignorano che la volontà del capo costituisce principio di legalità nei provvedimenti amministrativi che determinano le carriere, i procedimenti disciplinari e i trasferimenti coatti.
Ma dal momento che anche i vertici militari, talvolta, sono stati coinvolti in inchieste per fatti gravissimi, è legittimo sospettare che alcuni di quei provvedimenti rispondano a logiche avulse dall’onore. Intendo dire che non si può certo escludere che la specificità dell’ordinamento possa finire per legittimare anche i trasferimenti punitivi, i provvedimenti disciplinari vessatori e i dinieghi ingiusti di progressione in carriera
Ordini di trasferimenti, progressione di carriera e provvedimenti disciplinari: tre aspetti della vita professionale di un militare che, sinergicamente combinati, hanno il potere di piegare la sua volontà e di trasformarlo in vassallo; possono, cioè, provocare una mutazione genetica dell’obbedienza militare.
Stando così le cose, siamo proprio convinti che il pubblico interesse si realizzi attraverso un’amministrazione “duttile” della giustizia amministrativa militare?
Si consideri che “duttilità” è sinonimo di flessibilità, pieghevolezza e antonimo di resistenza. Ritengo che ai fini della realizzazione dell’interesse pubblico sia più utile una giustizia amministrativa militare meno pieghevole agli interessi degli “stati maggiori”[10].
Cerco di spiegare il concetto con tre esempi (relativi, rispettivamente, ai tre momenti citati: trasferimento, carriera e disciplina).
1. La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha stabilito che i trasferimenti d’autorità rientrino «nella categoria dell’ordine del superiore gerarchico e attengono, in buona sostanza, ad una semplice modalità di svolgimento del servizio sul territorio[11]» e «rientrando nel genus degli ordini, sono sottratti alla disciplina generale sul procedimento amministrativo dettata dalla legge 241 e, pertanto, non necessitano di particolare motivazione[12]».
Un militare appartenente alle forze di polizia, quindi, può essere trasferito d’autorità con una semplice formula di stile, del tipo: “incompatibilità ambientale”.
Ritengo che il giudice togato - dovendo decidere sul trasferimento per incompatibilità ambientale di un militare - si dissocerebbe da un tale orientamento e, probabilmente, direbbe all’amministrazione: «ALT, se non mi dici a che cosa è incompatibile o a quale elemento ambientale è allergico - se non mi mostri il “certificato dell’allergologo” da cui emerge questa ‘supposta’ intolleranza/incompatibilità - io sono indotto a sospettare che con una formula di stile ci si voglia liberare di un investigatore scomodo, magari troppo scrupoloso o zelante».
2. E ancora, nel caso l’ente militare valuti con maggior favore la “rapidità dei processi mentali[13]” di un ufficiale di polizia, avvantaggiandolo, così, nella progressione di carriera, il giudice togato, che mentalmente è più rigido, probabilmente, direbbe: “ALT, se non mi mostri questa ‘supposta’ maggiore rapidità dei processi, magari attraverso “l’RX cranio 3D”, io sono indotto a sospettare che un così lusinghiero giudizio obbedisce più a logiche di cooptazione e di cordate che di merito”.
“L’aiutino” in fase di avanzamento rende ricattabile il dirigente promosso, inserendolo in un circolo vizioso che Cantone ha assai egregiamente fotografato. Per questo le carriere dovrebbero dipendere dai risultati operativi[14] o, comunque, da parametri che tutti possano verificare e non da valutazioni astratte e occulte ai più, di cui il contribuente non sa che farsene.
L’ombra del cono, di cui parla Cantone, andrebbe ricercata “nell’elevato grado di discrezionalità che connota le valutazioni compiute dall'Amministrazione sulla carriera dei suoi dipendenti e nell’ammissibilità del sindacato giurisdizionale solo entro i limiti dei vizi di manifesta abnormità, discriminatorietà o travisamento dei presupposti di fatto[15]”.
L’ombra è originata dal principio dell’insindacabilità - o comunque della sindacabilità solo entro certi limiti - della discrezionalità della pubblica amministrazione. Il familismo[16] di cui siamo tutti un po’ malati - chi più e chi meno – si cura solo con terapie basate su trasparenza e terzietà.
3. Sempre il giudice togato, nel caso si trovi a decidere sul ricorso di un finanziere o un carabiniere sanzionato disciplinarmente per “capelli lunghi”, diversamente ‘dall’amministratore duttile’, probabilmente, direbbe: “ALT, se non mi dici al di sopra di quanti centimetri i capelli sono da considerarsi lunghi, io sono indotto a sospettare che le norme di tratto siano interpretate per gli amici ed usate come clava per i nemici e che, in generale, la mancata tipizzazione e l’estrema genericità delle norme disciplinari[17] hanno lo scopo di far sentire il tuo tallone costantemente sul collo del subalterno, affinché a nessuno(*) venga mai in mente di esercitare i suoi diritti”[18]. (*)Unum castigabis, centum emendabis.
Vi ricordate, per averlo appreso dalla stampa[19], la formulazione di quell’ordine - costato all'erario 350mila euro[20] - impartito ai due militari posti a disposizione di un noto parlamentare?
L’ordine era connotato da un precetto - «… da oggi in poi fate tutto ciò che vi chiede il dottor…» - e da un avvertimento, in parte espresso – «State attenti e cercate di rigare dritto» - e in parte sottinteso, riassumibile così: “altrimenti noi abbiamo il potere di trasferirvi, abbassarvi le note caratteristiche, sanzionarvi disciplinarmente; in una sola parola, bloccarvi la carriera e rendervi la vita impossibile. Dopo fate pure ricorso che, nei due gradi di giudizio, vi costerà circa 10 mila euro[21]. E ricordatevi che il coltello dalla parte del manico ce lo abbiamo sempre noi”. Una tale capacità di ascoltare le parole non dette è propria solo di chi conosce veramente come si articola l'esercizio del potere all’interno dell’amministrazione militare.
Non tutti sanno, per esempio, che gli ordini militari, mancando tutele terze, devono essere, eventualmente, contestati all’interno dello stesso Ente militare. Ma è come dire a Cappuccetto Rosso di rivolgersi ad altro lupo più saggio e più canuto, piuttosto che al cacciatore[22]!
La verità è che l’assenza di tutele e una giurisprudenza troppo duttile tengono il militare isolato dalla società civile allo scopo di garantire al potere un’obbedienza[23] fedele, cieca e assoluta.
Meriterebbe, a tal proposito, un serio approfondimento la delibera 01/06/XI approvata all’unanimità dall’organismo di rappresentanza dei militari della Guardia di Finanza, comparto aeronavale. Riporto, di seguito, alcuni dei passaggi conclusivi: «Questo organismo ritiene che i rimedi offerti dal legislatore, solo sulla carta, per contrastare eventuali vessazioni e ordini criminosi, siano inadeguati e scarsamente attuabili.
L’inadeguatezza di tali rimedi potrebbe compromettere o quantomeno influenzare il libero articolarsi della dialettica democratica, attraverso cui si stabiliscono i fini dello Stato. E per di più, ci si chiede se, per assurdo, l’ordine promanasse dall’autorità politica di governo[24], l’ordinamento militare avrebbe gli anticorpi per contrastarne l’esecuzione?
Questo organismo ritiene che quegli anticorpi - previsti da norme di rango superiore - siano stati sterilizzati da norme di rango regolamentare, che ne hanno anestetizzati gli effetti.
Ciò in quanto con l’attuale panorama normativo di riferimento, l’eventuale cattiva abitudine di impartire ordini illegittimi è difficile da estirpare, proprio perché l’autorità nei cui confronti andrebbe rivolta la censura è, per così dire, parte e controparte. Le conseguenze di tali vulnera costituzionali si ripercuotono negativamente sul principio d’imparzialità e buon andamento di così delicati apparati dello Stato, la cui attività operativa condiziona la distribuzione del reddito - quella della Guardia di Finanza - e il funzionamento della giustizia - quella dei Carabinieri e della G.di F.; quindi, possono avere effetti non solo sui cittadini-militari ma anche e soprattutto su gli altri cittadini, che militari non sono.
Si consideri che i 350 mila militari, tra cui i 180 mila poliziotti ad ordinamento militare detengono il controllo dell’ordine pubblico, oltre ai poteri di P.G. e P.T., su delega e/o d’iniziativa. Essi, nell’ambito degli enormi poteri investigativi, possono accedere a dati sensibili e gestiscono strumenti d’indagine sofisticati; hanno il potere di imprimere direzione e verso alle indagini che consentono di individuare le piste che portano alla verità dei fatti, allo scopo di ridurre al minimo lo scarto tra verità storiche e verità processuali.
In particolare, una siffatta obbedienza della polizia giudiziaria, potrebbe, in teoria, condizionare il funzionamento della giustizia, attraverso la procedura[25]; e lo stesso tipo di obbedienza della polizia tributaria potrebbe incidere, in teoria, sull’equità fiscale e contributiva.
Cioè l’ordinamento offre il fianco acché l’inferiore non agisca sulla base del precetto normativo, quanto, piuttosto, in ottemperanza dell’ordine impartito dal superiore. Tale ordinamento, se costituisce un punto di forza in tempo di guerra, in cui si fronteggiano due eserciti che difendono gli interessi delle rispettive Nazioni, potrebbe essere inadatto in tempo di pace in cui a fronteggiarsi, spesso, sono diverse correnti politiche, che appartengono alla stessa Nazione.»
L’obbedienza militare è un vizio oppure una virtù? Se lo chiedeva Don Lorenzo Milani già 50 anni fa. Provo a dare la mia risposta.
Una obbedienza militare leale e consapevole è certamente una virtù, quella cieca e assoluta può considerarsi un vizio, una specie di neo sulla cute della democrazia, che potrebbe cambiar forma e dimensioni in qualsiasi momento. E in tutti questi anni, il ‘corpo’ democratico del paese ha subito diverse ferite e lacerazioni più o meno profonde. Esse, in alcuni casi, probabilmente, hanno anche interferito con il libero articolarsi della dialettica democratica all’interno del paese. Per questa ragione, forse, il Presidente onorario della Corte di Cassazione, all’apice della sua carriera, ha pensato di scrivere un libro dal titolo “La Repubblica dalle stragi impunite”. Mi riferisco a Ferdinando Imposimato, un magistrato che per tutta la vita si è occupato di mafia e terrorismo[26].
In tutte queste occasioni, però, il sistema ha sempre retto, estirpando, di volta in volta, il neo prima che degenerasse. E ci è riuscito grazie alla lungimiranza dei nostri Padri Costituenti che hanno scelto per noi una democrazia parlamentare e previsto una serie di contrappesi: i poteri del Presidente della Repubblica, il peso delle opposizioni, i poteri degli organi di controllo e di garanzia, e così via.
Ma se venissero meno quelle garanzie, che solo una democrazia parlamentare può offrire, l’obbedienza militare fedele ad una catena gerarchica agganciata all’esecutivo sarebbe come un tumore per la democrazia.
Ebbene, vi annuncio che il neo sta rapidamente cambiando forma, dimensioni e colore: dallo scorso 13 ottobre l’Italia non è più una democrazia parlamentare[27].
La Costituzione approvata nel 1947 da un’Assemblea costituente espressa e legittimata dai cittadini, usciti dal fascismo e dalla Resistenza, non esiste più. Essa è stata abrogata in tutta la sua parte concernente l’ordinamento della Repubblica e sostituita con un’altra, approvata dal Senato con 178 voti su 321 senatori (143 tra assenti contrari e astenuti)[28].
Il Parlamento è stato drasticamente indebolito, delle due Camere di fatto è rimasta una sola.
La nuova Costituzione è pensata proprio per dare più poteri all’esecutivo, che, grazie al premio di maggioranza attribuito dall’Italicum, sarà costituito dal solo partito del presidente del Consiglio, detentore di una maggioranza assoluta. La fiducia sarà un atto meramente formale perché inquinata dal vincolo della disciplina di partito, a differenza di quanto avviene nelle coalizioni. Anche gli organi di garanzia sono stati ridimensionati, a cominciare dal Presidente della Repubblica, a causa del peso decisivo del partito dominante.
Avremo un uomo solo al comando – a capo di una ‘corte’ di nominati legati al vincolo della disciplina di partito - che potrà contare anche sull’obbedienza fedele, cieca e assoluta delle FF.AA. e dei corpi di polizia che detengono il monopolio della forza.
Questo è il motivo per il quale ritengo che tutta la giurisdizione del pubblico impiego e segnatamente quella delle forze dell’ordine debba essere attribuita al suo giudice “naturale”, il giudice ordinario del lavoro.
Ho concluso e mi scuso per essermi dilungato un tantino, prima di salutarvi, però, voglio rispondere all’internauta che si chiedeva quali diritti vogliono reclamare i militari.
«Mio caro internauta, il tema dei diritti dei militari, cui è strettamente connesso quello dell’obbedienza militare, è molto delicato.
I diritti che i militari vogliono reclamare sono i tuoi diritti, ovvero, quelli che tu pensi di avere.
Come si può ripudiare la guerra, se nemmeno in tempo di pace i militari sono posti nella condizione di dire “signornò” a quelli che vogliono farla.
Non dimentichiamo che l’invasione dell’Iraq è iniziata perché qualcuno ha dichiarato di aver visto ciò che non c’era. E chi era sul campo e poteva smentire ha taciuto.
Poi da cosa è nata cosa».
«L'anno scorso, a settembre, si diceva che la Siria aveva le armi chimiche: io credo che la Siria non fosse in grado di farsi le armi chimiche. Chi gliele ha vendute? Forse alcuni di quelli che poi l’accusavano di averle?» (Papa Francesco il 30 novembre 2014 sul volo di ritorno a Roma dalla Turchia)
Cleto Iafrate
Direttore Laboratorio delle idee FICIESSE
ARTICOLO CORRELATO:
[1] Leggi il testo del contributo di Cleto Iafrate al IV° Congresso nazionale di FICIESSE sulla proposta per l’introduzione dell’aliquota personale congrua.
[2] Ad onor del vero, antesignano dell'organo può essere considerato il Consilium nobiscum residens del Ducato di Savoia, regolamentato da Amedeo VIII nel 1430. Presieduto dallo stesso Duca, aveva la capacità di sostituirsi al Principe nel governo del Paese e ne facevano parte i più importanti nobili del Ducato. Aveva diverse competenze amministrative e giudiziarie. Queste ultime si sostanziavano nell'assistere il sovrano nello svolgimento della sua funzione di detentore della giurisdizione suprema.
[4] Ibidem
[5] "Cono d'ombra" è diverso da "zona d'ombra". La zona d’ombra è limitata e circoscritta, invece il cono d’ombra fa pensare ad un ‘fenomeno’ che parte dal vertice e man mano che scende verso il basso si espande.
[6] Fonte GrNet: “Carta: il Consiglio di Stato discrimina militari..”.
[7] Questi dati sono emersi nel corso di un convegno organizzato lo scorso 23 ottobre a Palermo dal sindacato di polizia Consap in collaborazione con l'Università di Palermo.
[8] Delibera nr. 378 annessa al verbale n. 164 del 3 aprile 2012 del Co.Ba.R. Carabinieri Calabria avente ad oggetto “Benessere del personale – Fenomeno dei suicidi nell’arma dei Carabinieri. La storia si ripete purtroppo e amaramente”.
[9] Per un approfondimento su questo punto, si legga la delibera nr. 4/15/XI del COBAR Guardia di Finanza, comparto aeronavale, che divulga uno studio semi-serio nel quale la specificità militare viene sottoposta ad una prova di laboratorio, allo scopo di verificare le fondamenta della teorica dell’onore.
[10] Leggi anche la nota nr. 24.
[11] Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1677/2001.
[12] Cons. Stato, sez. IV, 13 maggio 2010 n. 2929, dello stesso tenore, Consiglio di Stato n. 85/1996; n. 2641/2000; n. 5950/2001; n. 2642/2009; n 8018/2010; n. 3227/2010; n. 4102/2010; n. 8018/2010.
[13] Per un approfondimento su questo punto vedi: “CON LE NOTE CARATTERISTICHE DEI MILITARI I NUMERI SI DANNO OPPURE SI OSSERVANO? QUAL’E’ LA RAPIDITA’ DEI PROCESSI MENTALI..”
[14] Per risultati operativi intendo, per esempio, le imposte accertate e recuperate; e non solamente quelle accertate, perché non è detto che ciò che viene accertato poi venga anche recuperato.
[15] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2010, n. 999; sez. IV, 19 febbraio 2010, n. 1000; sez. IV, 31 dicembre 2009, n. 9293; sez. IV, 24 dicembre 2009, n. 8758; sez. IV, 31/3/2009, n. 1901; id., n. 3339/2008; sez. IV, 28 dicembre 2005, nr. 7427; id., 14 febbraio 2005, nr. 440; id., 14 dicembre 2004, nr. 7949; id., 27 aprile 2004, nr. 2559; id., 17 dicembre 2003, nr. 8278; id., 18 ottobre 2002, nr. 5741; id., 30 luglio 2002, nr. 4074; id., 3 maggio 2001, nr. 2489).
[16] Tendenza a considerare la famiglia, con il suo sistema di parentele e soprattutto con il legame di solidarietà interno tra i suoi membri, predominante sui diritti dell’individuo e sugli stessi interessi della collettività.
[17] Per un approfondimento su questo punto leggi “IL PARADOSSO DI UN'EUROPA PIU' ATTENTA A FORME E DIMENSIONI DEI CETRIOLI CHE NON AL DIRITTO DI LIBERTA' PERSONALE DEI CITTADINI MILITARI”, tenendo presente che i giudici amministrativi sono i giudici degli interessi legittimi.
[18] Sull’uso strumentale della disciplina militare vedi anche “IL MILITARE E LA POLITICA: SCELTA D’AMORE O MATRIMONIO COMBINATO?”
[19] Tra gli altri, ilfattoquotidiano.it del 16 ottobre 2012.
[20] FONTE: ilmessaggero.it del 29 maggio 2014.
[21] L’amministrazione appella sempre le sentenze del TAR, tanto, se perde, paga comunque lo Stato. E’ innegabile che “la giustizia sia uguale per tutti”; ma per tutti quelli che se la possono permettere.
[22] Per un approfondimento su questo punto vedi: QUALE MILITARE CONTESTEREBBE UN ORDINE RISCHIANDO CONSEGUENZE NEFASTE?
[23] Attenzione, qui non stiamo parlando dell’obbedienza del soldato sulla linea del fronte – in quel caso è giusto che sia fedele - ma di quella delle forze di polizia ad ordinamento militare che svolgono un’attività delicatissima.
[24] La direzione amministrativa dello strumento militare - il cosiddetto impiego e gestione del personale - prima che fossero istituiti gli Stati Maggiori era accentrata nelle strutture ministeriali ed era una prerogativa dell’autorità politica, la quale realizzava efficacemente i suoi scopi attraverso lo strumento della disciplina militare. Ancora oggi, in occasione delle nomine delle più alte cariche istituzionali in campo militare, si derogano le rigide procedure di assunzione dell’incarico di comando in relazione al grado rivestito e, a parità di grado, all’anzianità posseduta, privilegiando i criteri discrezionali attribuiti alle autorità decidenti. Le nomine avvengono su scelta politica.
[25] La polizia giudiziaria militarmente organizzata è come una “stella polare” per l’autorità giudiziaria, con la sua luce è capace di imprimere direzione e verso alle indagini; l’ordinamento non può permettere che quella luce sia offuscata dall’obbedienza cieca al superiore, piuttosto che attingere dalla legge.
[26] E’ stato giudice istruttore dei più importanti casi di terrorismo, tra cui il rapimento di Aldo Moro del 1978, l'attentato al papa Giovanni Paolo II del 1981, l'omicidio del vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Vittorio Bachelet e dei giudici Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione.
[27] Il 13 ottobre 2015 il Senato ha approvato il disegno di legge di riforma costituzionale (C. 2613-B), cosiddetto “ddl Boschi”.
[28] Si consideri che la Costituzione del 1947 fu approvata con 458 voti contro 62.