AUTORICICLAGGIO. LA CASSAZIONE CORREGGE IL TIRO, MA CI SONO ANCORA MARGINI DI MIGLIORAMENTO – di Cleto Iafrate

lunedì 30 luglio 2018

AUTORICICLAGGIO. LA CASSAZIONE CORREGGE IL TIRO, MA CI SONO ANCORA MARGINI DI MIGLIORAMENTO – di Cleto Iafrate

PREMESSA

Per riciclaggio di denaro si intende quell'insieme di operazioni mirate a dare una parvenza lecita a capitali la cui provenienza è in realtà illecita, rendendone così più difficile l'identificazione e il successivo recupero.

In questo senso è d'uso comune la locuzione di riciclaggio di denaro sporco.

Il riciclaggio è caratterizzata da due momenti: quello dell'acquisizione di ricchezze mediante atti delittuosi (il reato presupposto) e quello successivo della pulitura, consistente nel far apparire leciti i profitti di provenienza delittuosa.

In pratica, riciclare denaro sporco è l'azione dell'investire i capitali illeciti in attività lecite.

Un efficace contrasto al riciclaggio è fondamentale per la democrazia in quanto tale reato è economico, politico e statale.

Si stima, infatti, che i flussi di denaro illecito in Italia siano mediamente superiori al 10 per cento del prodotto interno lordo, per cui sono suscettibili di generare gravi distorsioni all'economia legale, alterando le condizioni di concorrenza e i meccanismi di allocazione delle risorse.

L’azione di pulitura del denaro, come detto, presuppone sempre l’esistenza di un reato presupposto, al quale bisogna fare riferimento per capire se la condotta integra l’ipotesi di riciclaggio oppure quella di autoriciclaggio.

DIFFERENZE TRA RICICLAGGIO E AUTORICICLAGGIO

a) Il riciclaggio

L'articolo 648-bis del codice penale, introdotto dal decreto-legge 59/1978, incrimina chiunque «fuori dai casi del concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa».

Il delitto di riciclaggio presuppone, quindi, che l’agente, benché a conoscenza della provenienza delittuosa delle ricchezze da ripulire, sia estraneo al reato presupposto; pertanto, il delitto non potrà mai essere contestato a colui il quale ha commesso il fatto illecito il cui frutto è il denaro riciclato.

b) L’autoriciclaggio

L'art. 648-ter.1 c.p., introdotto dalla legge 186/2014, invece, incrimina chiunque «avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa.» Il delitto di autoriciclaggio, pertanto, può essere contestato solo alla stessa persona che ha ottenuto il denaro in maniera illecita.

Il delitto di autoriciclaggio, in vigore solo dal primo gennaio 2015, è stato introdotto nel nostro ordinamento a seguito di insistenti pressioni provenienti dall’Europa, e non solo. La Corte dei Conti in uno dei suoi ultimi rapporti aveva inserito la problematica dell’autoriciclaggio tra le questioni ancora da risolvere. Addirittura la Guardia di Finanza -nonostante il suo tradizionale basso profilo sui temi, per così dire, fiscal-politici- aveva sollecitato l’introduzione della previsione normativa per “rendere ancora più incisiva l'attività di contrasto al riciclaggio stesso e all'evasione fiscale[1]. Difatti fino al 2015 l’attività di autoriciclaggio –in qualunque forma fosse realizzata- non era punibile in quanto la condotta dell’autoriciclatore era considerata come naturale prosecuzione del delitto presupposto.

All’indomani dell’introduzione del reato di autoriciclaggio questo Laboratorio delle Idee manifestò alcune preoccupazioni circa le difficoltà attuative che la norma avrebbe incontrato; norma che pareva scritta più per evitare le sanzioni europee che per rendere più incisiva l'attività di contrasto al riciclaggio e all'evasione fiscale.

Leggi il contributo: AUTORICICLAGGIO, COLPITO MA NON AFFONDATO. ANZI …

A non convincere era soprattutto la clausola di non punibilità, di cui al quarto comma dell’art. 648-ter.1 c.p., a mente della quale “Fuori dai casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”.

Una tale scelta lessicale, poco chiara e suscettibile di fraintendimenti e interpretazioni, pareva uscita da un compromesso allargato anche agli interessi di chi ritiene che la guerra agli evasori vada sì dichiarata, e magari anche combattuta, entro certi limiti. Ma guai a pensare di vincerla!

Infatti non era ben chiaro se con la locuzione “fuori dai casi” il legislatore intendesse porre l’accento sulla condotta oppure sulle modalità d’impiego del denaro e delle altre utilità.

Le due tesi interpretative della clausola di non punibilità di cui al quarto comma dell’art. 648-ter.1 c.p..

1) Nell’ipotesi in cui il legislatore intendesse porre l’accento sulla condotta, basterebbe porre in essere una condotta decettiva[2], cioè tentare di occultare la provenienza illecita di denaro o altre utilità, per integrare la fattispecie criminosa, indipendentemente dal successivo impiego dei capitali illeciti. In questa caso la clausola sarebbe inutile in quanto posta solo per puntualizzare e precisare quanto previsto nel primo comma; cioè la clausola non farebbe altro che riscrive, al contrario, quanto già previsto nei commi precedenti. Sarebbe come dire: “Chi non si ferma all’ALT incorre nel reato di resistenza a pubblico ufficiale”; e poi ripetere: “Chi si ferma all’ALT, NON incorre nel reato di resistenza a pubblico ufficiale”. Ma c’era bisogno di precisarlo? Se, dunque, il legislatore lo ha precisarlo, qualcosa avrà avuto in mente. Forse, allora, intendeva porre l’accento sulle modalità d’impiego del denaro, a prescindere dalla condotta decettiva.

2) Se, infatti, si assume che il legislatore intendeva con quella formula riferirsi alle modalità d’impiego del denaro di provenienza illecita, ne consegue che qualsiasi condotta decettiva, finalizzata a rendere non tracciabili i proventi del delitto presupposto, resterebbe impunita ogniqualvolta tali proventi vengano, poi, destinati ad un –non meglio precisato- godimento o utilizzo personale. Seguendo questa ipotesi interpretativa, la clausola di non punibilità limiterebbe le possibilità di contrastare la condotta descritta nel primo comma. In questo caso, infatti, sarebbero le modalità di impiego dei profitti di provenienza delittuosa a porre l’agente all’interno oppure all’esterno del perimetro tracciato dalla norma penale. Di conseguenza, il mero tentativo di occultare la provenienza delittuosa dei denari non sarebbe sufficiente per punire l’agente.   

E’ come se il legislatore dicesse: “Chi non si ferma all’ALT non commette il reato di resistenza a pubblico ufficiale in tutti i casi in cui non ha nulla da nascondere”.

Ma se non avevi nulla da nascondere, perché non ti sei fermato?

E’ evidente come le due tesi conducano ad approdi completamente differenti.

Era proprio questo secondo approdo a preoccupare il Laboratorio delle Idee di Ficiesse, perché una tale interpretazione avrebbe depotenziato e svuotato di contenuto la previsione normativa.

Si pensi all’occultamento dei profitti di provenienza delittuosa e al successivo reinvestimento in beni immobili.  In tale ipotesi, tutt’altro che infrequente, sarebbe bastato dichiarare che gli immobili sono destinati a se o ai componenti della propria famiglia per porsi al di fuori del perimetro tracciato dalla norma penale.

Come vedremo di seguito, quelle preoccupazioni non erano del tutto infondate.

IL FATTO

Il Tribunale di Lucca, in data 14/02/2018, rigetta l’istanza di riesame contro il decreto di sequestro preventivo emesso nei confronti di B.E. e B.N. in quanto indagati di autoriciclaggio, il primo, e riciclaggio l’altro.

Il reato presupposto è costituito dal delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

I due avevano destinano una parte delle somme distratte da una S.R.L. per procedere alla cancellazione dell’ipoteca su un complesso immobiliare poi ceduto per l’importo dichiarato di 2.350.000,00 euro.

Avverso il suddetto provvedimento di rigetto i due, tramite i loro difensori, propongono ricorso per cassazione.

In particolare, B.E., cui viene contestato il reato di autoriciclaggio, tra i motivi di doglianza, adduce che nei suoi confronti non ricorrerebbero i presupposti di punibilità, dal momento che il denaro proveniente dal delitto presupposto è stato utilizzato per estinguere un finanziamento e, quindi, per adempiere ad una propria obbligazione.

LE VALUTAZIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Gli ermellini con la recente sentenza nr. 30399/2018 (presidente Piercamillo Davigo) hanno reputato le censure proposte dall’indagato infondate per le seguenti ragioni.

Prima di estinguere l’ipoteca i due hanno posto in essere “complesse e molteplici operazioni (un insieme fittissimo di attività) allo scopo di rendere più difficoltosa la tracciabilità delle somme”.

Il denaro proveniente dal delitto presupposto, infatti, è passato prima sui conti di una società anonima panamense per poi approdare su quelli di una banca estera riconducibili a B.E.; e di lì, poi, utilizzato per estinguere il finanziamento.

I giudici di piazza Cavour hanno stabilito che “non rientri nella fattispecie in esame una condotta a seguito della quale l’agente utilizzi i beni in modo indiretto, come, ad esempio il godimento personale di un bene provento del delitto presupposto che, anziché essere goduto o utilizzato personalmente (quindi, direttamente), sia stato, prima di essere utilizzato, sottoposto ad operazioni di riciclaggio che ne abbiano concretamente ostacolato l’identificazione della provenienza delittuosa”.

Com’è evidente, i giudici di piazza Cavour hanno aderito alla prima delle due tesi interpretative sopra esposte.

In fondo, - scrivono- se l’agente per andare esente da responsabilità penale deve limitarsi a destinare i proventi del delitto presupposto a sue esigenze personali, che necessità avrebbe di porre in essere comportamenti decettivi? “Sarebbe paradossale -aggiungono- consentire all’agente del reato presupposto di effettuare una tipica condotta di autoriciclaggio (rendere non tracciabile i proventi del reato) e, al contempo, consentirgli di usufruire della clausola di non punibilità.

Di conseguenza, l’agente può andare esente da responsabilità penale solo e soltanto se utilizzi o goda dei beni proventi del delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa

CONCLUSIONI

Dalle conclusioni cui perviene la cassazione emerge che il reato di autoriciclaggio non si sarebbe configurato qualora i proventi del reato presupposto fossero stati utilizzati in modo diretto per estinguere il debito.

I giudici, per di più, precisano che una tale soluzione è coerente con le ragioni per le quali venne messo in discussione e superato il cd privilegio dell’autoriciclatore: la ratio legis fu quella di “sterilizzare il profitto conseguito con il reato presupposto e, quindi, di impedire all’agente sia di reinvestirlo nell’economia legale sia di inquinare il libero mercato ledendo l’ordine economico con l’utilizzo di risorse economiche provenienti da reati”.

A questo punto sorgono spontanee alcune domande.

- Il reinvestimento del profitto conseguito con il reato presupposto in un complesso immobiliare del valore dichiarato di 2.350.000,00 euro non costituisce forse inquinamento del libero mercato?

- Una tale speculazione edilizia non generare gravi distorsioni all'economia legale?

- Non altera, forse, le condizioni di concorrenza e i meccanismi di allocazione delle risorse?

Ritengo di sì. Anzi, sono convinto che siano proprio tali forme riciclaggio di capitali di illecita provenienza a condurre al fallimento -in certi casi al suicidio- gli imprenditori rispettosi delle regole e a determinare la perdita di molti posti di lavoro e l’aumento delle diseguaglianze sociali.

Quelle domande, tuttavia, -più che ai giudici, che devono applicare la legge- andrebbero rivolte al legislatore.

Ed è per questo che, alla luce di quanto fin qui esposto, auspico una revisione del quarto comma dell’art. 648-ter.1 c.p, nel senso di una più ristretta e puntuale perimetrazione della clausola di non punibilità.

La vigente formulazione -godimento e utilizzo personale- per la sua indeterminatezza non è idonea a contrastare efficacemente il fenomeno dell’autoriciclaggio.

 La clausola di non punibilità dovrebbe ricomprendere il solo denaro utilizzato direttamente per il soddisfacimento dei bisogni primari personali dell’autore del reato presupposto.

 

Post scriptum

Bene ha fatto la Guardia di Finanza a contestare il delitto di autoriciclaggio, nonostante l’agente abbia dichiarato di aver utilizzato il denaro di provenienza illecita per estinguere un debito personale.

L’attività dei militari operanti ha disvelato le complesse operazioni che hanno preceduto l’estinzione del debito, ricostruendone tutti i passaggi.

Ma non solo. La loro determinazione ha creato le condizioni affinché la Cassazione colpisse quel bersaglio che il legislatore aveva mancato, forse, per aver mirato nella direzione sbagliata.

 

Cleto Iafrate

Direttore laboratorio delle idee Ficiesse

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[1] Il Capo del III Reparto Operazioni, nel corso di un’audizione tenutasi presso la Commissione Finanze della Camera, aveva, inoltre, precisato che l'attuale normativa "non consente di punire a titolo di riciclaggio e di reimpiego, chi abbia commesso o concorso a commettere i reati da cui tali beni, denaro o altre utilità provengono” (http://www.ficiesse.it/home-page/8964/autoriciclaggio_-colpito-ma-non-affondato_--anzi-…--di-cleto-iafrate).

[2] Ingannevole, che trae o può trarre in inganno e indurre in errore.

 

 


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