IL MILITARE E LA POLITICA: SCELTA D'AMORE O MATRIMONIO COMBINATO? (PARTE PRIMA) – di Cleto Iafrate

giovedì 01 marzo 2012

IL MILITARE E LA POLITICA: SCELTA D’AMORE O MATRIMONIO COMBINATO? (PARTE PRIMA) – di Cleto Iafrate

Di seguito, una libera manifestazione di pensiero di Cleto Iafrate, componente del Direttivo nazionale Ficiesse e presidente del Direttivo della Sezione Ficiesse di Taranto.

Facciamo i nostri complimenti all'Autore per la puntualità , l'originalità  e l'acutezza del contributo che invitiamo a leggere con attenzione.

LA REDAZIONE DEL SITO 



 

 

 SOMMARIO: 1. Il Fatto - 2. Cornice storica pre-repubblicana - 3. I lavori dell’Assemblea costituente e le norme costituzionali – 4. Le norme ordinarie attuative dell’art. 98 della Costituzione - 5. Il carattere educativo della disciplina militare – 6. L’obbedienza militare - 7. La regola dell’onore militare - 8. Considerazioni conclusive

 

1. Il Fatto

 

Un giovane carabiniere – in possesso di una laurea in giurisprudenza e in procinto di conseguirne una seconda in scienze politiche - nell’agosto del 2010 s'iscrive ad un partito, allo scopo di partecipare attivamente alla vita politica del nostro Paese.

Si tratta di un partito che, all’epoca dei fatti, poteva definirsi d’opposizione, oggi non saprei. Una formazione politica, quindi, che intercettava il dissenso dei cittadini nei confronti delle scelte politiche dell’allora maggioranza di governo; soprattutto in tema di giustizia e fisco.

In materia di giustizia, per esempio, il programma di quella formazione politica prevede la rivisitazione dei termini di prescrizione dei processi, in modo da ridurre al minimo i casi d’impunità .

In tema fiscale, oltre ad esprimere assoluta contrarietà  ai condoni, propone:

- la detrazione del maggior numero possibile di spese, in modo da far emergere il sommerso e ridurre così l’evasione fiscale;

- l’eliminazione degli studi di settore, ritenendo che costituiscano un incentivo all’evasione;

- l’innalzamento fino al 20% della tassazione sulle rendite finanziarie;

- la reintroduzione del falso in bilancio e pene più severe per chi commette reati di tipo finanziario o societario.

Il militare all’interno del partito assume anche un incarico di responsabilità ; ma in una regione diversa (Piemonte) rispetto a quella in cui presta servizio (Umbria).

Quando il carabiniere notizia i suoi superiori dell’impegno politico assunto, questi aprono nei suoi confronti un procedimento disciplinare. Al militare viene contestata la “lesione del principio di estraneità  delle forze armate alle competizioni politiche” e viene aperto nei suoi confronti un procedimento disciplinare. Il carabiniere, allo scopo di evitare ulteriori e più gravi conseguenze disciplinari, presenta un ricorso gerarchico nel quale ipotizza di essere vittima di un’arbitraria e ingiustificata disparità  di trattamento.

Fa presente che l’Amministrazione ha tollerato e consentito ad altri militari di svolgere attività  politica, presumibilmente perchà© iscritti ad un altro partito. Negli atti del ricorso segnala almeno cinque nomi di altrettanti militari in servizio attivo nell’Arma che militano tra le file di un opposto schieramento politico, i quali, tra l’altro, sono stati anche eletti consiglieri ed assessori in diversi comuni laziali. Il militare rileva che in nessuno di questi casi l’Amministrazione ha avviato dei procedimenti sanzionatori, come se l'esercizio dei diritti politici fosse legittimo soltanto se attuato nei confronti di determinate formazioni politiche. Il carabiniere non riesce, però, con queste argomentazioni ad evitare la sanzione disciplinare, che puntualmente arriva. Il procedimento disciplinare, infatti, si conclude con l'irrogazione di 5 giorni di consegna di rigore. Si tratta della più grave delle sanzioni disciplinari, assimilabile all’espiazione carceraria prevista per i più gravi reati penali con l'obbligo di scontare la "pena" nel proprio alloggio in caserma (l'equivalente degli arresti domiciliari per un comune cittadino). Ne parlerò nel quinto paragrafo.

A quel punto, il cittadino militare, dopo aver scontato la pena, decide di invocare il Tribunale amministrativo regionale competente per difendere i suoi diritti costituzionali.

Il TAR per l'Umbria nel dicembre 2011 non solo dà  ragione al carabiniere ma addirittura condanna l'Amministrazione al pagamento di tutte le spese legali e processuali.

Di seguito la sentenza NR. 146/2011.

Questi sono i fatti. La vicenda mi offre lo spunto per proporre una riflessione sul valore educativo della disciplina militare ed i suoi riflessi sull’obbedienza del militare.

Partirò da lontano.

 

2. Cornice storica pre-repubblicana

 

Il ruolo svolto dalle Forze armate, dalla proclamazione del Regno d’Italia in poi, è stato, oltre a quello di difesa dei confini, anche, e a volte soprattutto, di repressione delle istanze democratiche che si ponevano, di volta in volta, in conflitto con gli orientamenti del governo centrale.

Si consideri che nel Regolamento di disciplina militare, entrato in vigore l’1 gennaio 1860 (approvato con R.D. 30 ottobre 1859), per la prima volta nella storia dei regolamenti militari, viene inserita una premessa introduttiva. In essa si afferma che l’esercito è istituito prima “per sorreggere il trono” e poi per “tutelare le leggi e le istituzioni nazionali” (una copia dell’edizione originale è reperibile presso la biblioteca dell’istituto geografico militare di Firenze).

All’indomani dell’unità  d’Italia, le truppe garibaldine, composte prevalentemente da contadini del sud, non furono accettate nei quadri dell’esercito regolare (a causa, probabilmente, del ragionamento alla base di quella premessa). Si preferì, piuttosto, recuperare i quadri del vecchio esercito borbonico sconfitto; ciò fu possibile grazie anche all’influenza di una classe di ufficiali che proveniva dalla vecchia nobiltà  terriera o dall’alta borghesia. Delle truppe garibaldine, entrarono a far parte dell’esercito regolare solamente gli ufficiali, che, tra l’altro, furono posti, per la massima parte, in disponibilità  o in aspettativa.

Per queste e altre ragioni il popolo sentiva l’esercito staccato dalla vita civile e l’esercito stesso si sentiva escluso e separato da questa. La frattura diventò ancor più evidente tra il 1861 e il 1865, quando l’esercito fu impiegato per reprimere le istanze dei contadini contro il governo. I più determinati erano i contadini siciliani che parteciparono alle proteste armati di forconi. Si consideri che la ricchezza, all’epoca, era iniquamente distribuita; essa era detenuta quasi esclusivamente da un ristrettissimo numero di latifondisti mentre la massa di braccianti agricoli era ridotta alla fame e viveva in uno stato di miseria e sfruttamento. Sempre a quel tempo, non esisteva ancora lo stato sociale e i lavoratori erano totalmente privi di tutele. Il lavoro era, per così dire, totalmente flessibile, ciò determinava l’accettazione di condizioni lavorative ai limiti della schiavitù da parte di un sempre crescente numero di disperati.

L’azione di repressione dei contadini fu favorita anche da una disciplina militare rigida e improntata all’obbedir pronto e assoluto.

Giolitti, in un discorso tenuto nel settembre del 1900, affermò che le questioni sociali erano più importanti di quelle politiche e che sarebbero state esse in avvenire a differenziare i vari gruppi politici gli uni dagli altri.

Egli precisò chiaramente la sua posizione, nei seguenti termini:

"Il paese, dice l'On.le Sonnino, è ammalato politicamente e moralmente, ed è vero; ma la causa più grave di tale malattia è il fatto che le classi dirigenti spesero enormi somme a beneficio proprio, quasi esclusivo, e vi fecero fronte con imposte, il peso delle quali cade in gran parte sulle classi più povere. Noi abbiamo un gran numero di imposte sulla miseria: il sale, il lotto, la tassa sul grano, sul petrolio, il dazio di consumo ecc.; perfino le tasse sugli affari e le tasse giudiziarie sono progressive a rovescio. Quando nel 1893, per stringenti necessità  finanziarie, io dovetti chiedere alle classi più ricche un lieve sacrificio, sorse da una parte delle medesime una ribellione assai più efficace contro il governo che quella dei poveri contadini siciliani; e l’On.le Sonnino, andato al governo dopo di me, dovette provvedere alle finanze rialzando ancora il prezzo del sale e  il dazio sui cereali. Io deploro quanti altri mai la lotta di classe; ma, siamo giusti, chi l'ha iniziata?".

La frattura tra i militari e la società  civile raggiunse il suo apice nell’agosto del 1917. Mentre gli operai protestavano a Torino contro la mancanza di pane, intervenne l’esercito con le autoblindo. La rivolta, durata tre soli giorni, costò ai dimostranti ben 35 morti.

Fu questo progressivo e sempre più accentuato distacco dalla società  civile che consentì al fascismo di trovare facile esca nei quadri medio-alti dell’esercito. I quali svolsero un ruolo decisivo nella presa del potere da parte di Mussolini. Furono proprio i capi delle forze armate, chiamati a consulto, a sconsigliare al re l’intervento. Alla richiesta del re sulla convenienza di affidare all’esercito la difesa del governo liberale decretando lo stato di assedio, Diaz e Pecoro Giraldi diedero la famosa risposta: “L’esercito farà  il suo dovere, ma è bene non metterlo alla prova”.

Durante il fascismo, i tre capi di stato maggiore trovavano un limite al loro potere soltanto nella persona del ministro da cui ciascuno dipendeva, cioè nella persona di Mussolini che era ministro della guerra, della marina e dell’aeronautica e manteneva separate le tre amministrazioni (Tratto da “Forze armate e costituzione” di F. Pinto, Marsilio editore 1979).

 

3. I lavori dell’Assemblea costituente e le norme costituzionale

 

All’Assemblea costituente si chiedeva, innanzitutto, di ricucire la frattura tra l’esercito e la società  civile e di creare i presupposti affinchà© non si realizzassero mai più le condizioni per una così rischiosa separazione.

Il dibattito si concentrò tutto intorno al cuore del problema: come armonizzare l’ordinamento speciale (esistente) delle Forze armate con l’ordinamento democratico nascente.

Ripercorro alcuni punti salienti dei lavori della Costituente, utili per la bisogna.

a) Venne subito ritenuta primaria l’esigenza che l’esercito dovesse “perseguire le sue altissime finalità  senza l’influenza di orientamenti politici.” Si sottolineò che “L’esercito è fatto per difendere la patria: la patria si difende sotto qualsiasi regime e con qualsiasi orientamento politico. L’educazione dei giovani, che devono essere portati anche al sacrificio estremo della vita, deve essere lasciata nelle mani di persone le quali non soffrano, in alcun modo, nà© l’influenza nà© il timore degli atteggiamenti politici” (Mastroijanni, Prima sottocommissione, 15 novembre 1946).

b) Giolitti dichiarò: “l’adozione del termine “spirito democratico” dimostra che si vuole avere semplicemente questa garanzia: la garanzia di quello che è il denominatore comune di tutti i partiti che hanno diritto di parlare e di fare sentire la loro voce in una libera assemblea, in un’assemblea democratica come questa” (Ass. cost., 20 maggio 1947).

c) Azzi fece presente che sarebbe stata necessaria una “modifica della vita dell’esercito (modificando) la mentalità  degli ufficiali e modificando anche il regolamento di disciplina” (Ass. cost., 21 maggio 1947).

Come noto, il dibattito culminò con la stesura dell’ultimo comma dell’art. 52 Cost., il quale sancì che “L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della repubblica”.

E’ utile ripercorrere brevemente anche il dibattito che ruotò intorno alla stesura dell’articolo 98 della Costituzione, a mente del quale “Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”.

Durante i lavori preparatori che portarono alla stesura dell’articolo, si affermò: “se dicessimo nulla in proposito e, ferma restando la norma generale della libertà  del cittadino, per cui ciascuno può iscriversi a qualsiasi partito, domani potrebbe ritenersi illegittima e anticostituzionale qualsiasi legge che stabilisce questo divieto per i carabinieri e le guardie di questura” (Clerici, Ass. cost., 05 dicembre 1947).

Illuminante ai nostri fini fu l’intervento di Nobile: “non conviene a nessuno che i quadri delle forze armate si mescolino alla politica (in quanto) esse devono servire a presidiare lo stato e pertanto debbono essere mantenute fuori e al di sopra dei partiti politici” (Nobile, Ass. cost., 05 dicembre 1947).

In sintesi, si decise che eventuali limitazioni al diritto dei militari di iscriversi ai partiti politici avrebbero dovuto essere stabilite con legge ordinaria e che questo rinvio doveva essere necessariamente previsto dalla stessa Costituzione.

 

4. Le norme ordinarie attuative dell’art. 98 della Costituzione

 

E' utile, a questo punto, richiamare le norme ordinarie che regolano i rapporti tra i militari e la politica, al fine di chiarire se sono state stabilite con legge limitazioni, ed in che misura, al diritto dei militari di iscriversi ai partiti politici.

Esse sono contenute nella Legge di principio nr. 382/78, la quale nel 2010 è stata “riordinata” all’interno del Codice dell’Ordinamento militare (per un approfondimento, vedi Il Codice dell’Ordinamento militare e le analogie con i tempi del generale Pes di Villamarina).

La normativa è molto chiara. Innanzitutto, rileva l’art. 6 della Legge di principio, il quale al primo comma stabilisce che "Le Forze armate debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche".  Dal tenore letterale di tale disposizione emerge chiaramente l’autonomia concettuale e giuridica tra le “Forze armate” ed i “militari” che le compongono; nel senso che la prima locuzione indica l’istituzione e non anche i dipendenti della stessa. Infatti, quando il legislatore ha inteso riferirsi ai singolari militari, quali persone fisiche, l’ha fatto espressamente, così come accaduto nell’art. 98 della Costituzione.

Ci si chiede: in quali occasioni il militare rappresenta le Forze armate?
Lo stabilisce il successivo comma 2, secondo cui “Ai militari che si trovano nelle condizioni previste dal terzo comma dell’art. 5 è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonchà© di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative”.

Il terzo comma dell’art. 5 della medesima legge, stabilisce che le evocate limitazioni riguardano esclusivamente i militari che si trovano nelle seguenti condizioni:

 a) svolgono attività  di servizio;

b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;

c) indossano l’uniforme;

d) si qualificano, in relazione a compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali”.

Pertanto, alla luce delle norme esaminate, i militari che non si trovino nelle elencate (tassative) situazioni d’impiego ben possono “partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonchà© … svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative”.

Tali comportamenti devono ritenersi del tutto leciti e legittimi, almeno fino a quando il Parlamento, e non l’esecutivo o gli stati maggiori, non varerà  una norma che imponga espressamente ai militari il divieto di iscrizione ai partiti e/o di partecipazione alla vita interna delle formazioni politiche. Quando, e se, ciò accadrà , il divieto d’iscrizione dovrà  valere nei confronti di tutti i partiti, altrimenti verrebbero meno gli architravi su cui poggia la nostra democrazia.

(continua alla pagina http://www.ficiesse.it/home-page/6205/il-militare-e-la-politica_-scelta-d’amore-o-matrimonio-combinato-_parte-seconda_-–-di-cleto-iafrate)

 


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