TACCALOZZI (COCER GDF): LA CRISI NON E’ PASSEGGERA. GLI STIPENDI NON SI SBLOCCHERANNO NEMMENO NEL 2015 SE NON SI FARANNO RIFORME STRUTTURALI NEL COMPARTO (Intervista de Il Nuovo Giornale dei Militari)

giovedì 13 febbraio 2014

Da Il Nuovo Giornale dei Militari – 13/02/2014

LE SFIDE PER IL COMPARTO TRA CRISI ECONOMICA E SOCIALE.

Nostra intervista a Gianluca Taccalozzi delegato del Cocer Guardia di Finanza

di Antonella Manotti

Taccalozzi, la pesante crisi economica e le conseguenti scelte governative adottate in questi anni, con tagli ed interventi restrittivi sul piano retributivo e non solo…hanno colpito in modo particolare il pubblico impiego, non escludendo il comparto Sicurezza… In altre parole non ha “retto” all’impatto negativo delle misure adottate, nemmeno la cosiddetta “specificità”. Lei a tale proposito è sempre stato molto critico. Ci conferma questa sua posizione?

Non solo la confermo, ma la ribadisco alla luce di quanto è poi accaduto. La crisi che stiamo vivendo non è la solita crisi economica passeggera come quelle che il Paese ha già affrontato, per esempio, nei primi anni novanta, ma è una crisi del “Sistema Italia”, che era già estremamente deficitario e poco competitivo rispetto al resto dei Paesi occidentali. La crisi ha solo fatto emergere in tutta la sua gravità queste criticità. Sino ad ora i deboli Governi che si sono succeduti hanno operato solo dal punto di vista finanziario ed in modo davvero superficiale, iniquo e spesso illegittimo (checché ne dica la Corte Costituzionale). Ma per superare la crisi servono quelle riforme strutturali che andavano fatte qualche decennio fa (con l’economia in salute). In questo contesto, non ci voleva uno premio Nobel per capire che la “specificità” (così come la intendeva chi l’ha perorata e venduta al personale) era un “bidone” pieno di retorica, propaganda e promesse non mantenibili, utile solo a chi conveniva il mantenimento dello “status quo”.

Dal prossimo anno si dovrebbe uscire (il condizionale è d’obbligo!) dalle misure emergenziali con l’avvio dei rinnovi contrattuali ma, stante il persistere di carenza di risorse e il probabile protrarsi della crisi, dove si andranno a prendere i soldi per far fronte alle scadenze contrattuali ed al recupero degli incrementi retributivi congelati dal 2010? Si rischia un nuovo stop?

Ripeto questa crisi non è una crisi passeggera e per superarla definitivamente servono riforme strutturali. Chi pensa che i tagli lineari ed Il congelamento stipendiale siano stati provvedimenti urgenti e temporanei, secondo me, vive su Marte. Per questo motivo, ritengo che sia utopico pensare che dal prossimo mese di gennaio le dinamiche salariali dei pubblici impiegati ripartano con le stesse regole del 2010, non ci sono le risorse e le prospettive. Le risorse disponibili dovranno essere attinte dall’aumento dei rendimenti e dalla diminuzione dei costi e per chi, come noi del comparto sicurezza e difesa, non ha potere contrattuale di primo e, soprattutto, di secondo livello, la cosa è semplicemente impossibile.

Lei non ha lesinato critiche nei confronti della politica, delle pubbliche amministrazioni e dei sindacati del comparto sicurezza e difesa, affermando che i conti pubblici, le prospettive economiche e l’esigenza di equità sociale non consentono di affrontare il prossimo futuro con le logiche del recente passato…

Partiamo dai fatti conosciuti ed accertati. Da quando è arrivata la crisi il comparto sicurezza e difesa (amministrazioni e sindacati/rappresentanze) si sono spesi per difendere la specificità come pretesto per eludere tagli e riforme. Risultato: i tagli hanno colpito il personale del comparto in maniera superiore rispetto al resto del pubblico impiego. In altri termini, la crisi è stata solo subita e non colta come opportunità di cambiamento.
Quello che più sorprende è che, ancora oggi, dopo quattro anni di fregature, c’è ancora chi si ostina ad affrontare la crisi con gli strumenti e le logiche del passato. Mi spiego meglio, invece di pensare a dotare il personale di reale potere contrattuale si pensa si risolvere i problemi con un altro anacronistico riordino delle carriere, finanziato, come la specificità, con le promesse dei Ministri dell’Interno e della Difesa. Il tutto quando stiamo ancora attendendo il mantenimento delle solenni promesse sottese alla specificità, il d.l. 78 ha già, di fatto, riordinato le carriere degli ultimi quattro anni e non passa finanziaria o mille proroghe che non colpisca le retribuzioni o i diritti il personale del comparto: dall’indennità di trasferimento, allo straordinario festivo, passando per l’abolizione del divieto di reformatio in pejus. Mentre il resto del pubblico impiego, sfruttando il potere contrattuale, ha potuto (e potrà) aggirare/attenuare gli effetti della crisi.

Di quali interventi strutturali ci sarebbe bisogno?

Tanti, e molto profondi e nascono tutti da un presupposto: Il comparto sicurezza e difesa non è figlio di scelte ponderate ma di ricorsi, compromessi politici e retaggi storici post-ventennio fascista. In altri termini, non si è mai affrontato seriamente il problema di tenere insieme poliziotti, finanzieri e soldati. Risultato: ordinamenti di carriera e modelli contrattuali unici che finiscono per essere inidonei a tutti. Non credo che la separazione dei comparti sia una soluzione praticabile, tenendo conto che si sta perseguendo una politica di accorpamento dei comparti del pubblico impiego, ma credo che sia indispensabile aumentare gli spazi di autonomia delle varie amministrazioni del comparto, altrimenti il comparto è destinato inevitabilmente ad implodere. A tal riguardo, è necessario potenziare la contrattazione di amministrazione.

Si può affermare che gli interventi da adottare debbono necessariamente partire da una visione diversa che riesca a coniugare esigenze dei cittadini, efficienza delle amministrazioni, professionalità e tutela dei lavoratori del Comparto?

Ci sono due soli modi di affrontare le sfide che la nuova situazione economica e sociale del Paese impone. 1) migliorare l’efficienza attraverso l’utilizzo corretto della contrattazione integrativa, 2) diminuire le retribuzioni ed i diritti del personale. La prima strada, è quella che sta perseguendo il pubblico impiego privatizzato e permette di mantenere di reggere la competizione mantenendo adeguati livelli retributivi, seguendo l’esperienza tedesca. La seconda è quella che sta ottusamente seguendo il comparto sicurezza e difesa seguendo un modello molto simile a quello “cinese”.

In particolare per la Guardia di Finanza non ritiene superato, a fronte delle sfide attuali e dei cambiamenti intervenuti nel settore finanziario, il modello basato su una organizzazione gerarchica e l’impiego del personale in altre funzioni, ad esempio di ordine pubblico?

La Guardia di Finanza è l’amministrazione del comparto che, nel corso degli ultimi anni, ha visto mutare le proprie funzioni e le proprie esigenze, completando un percorso iniziato, di fatto, diversi anni fa, che l’ha portata e mutare la propria natura da polizia doganale a polizia economico-finanziaria, passando dalla polizia tributaria. In tale contesto è sicuramente l’amministrazione del comparto che più delle altre risente della mancanza di autonomia, anche per il fatto che le sue proprie e specifiche esigenze sono state sempre sacrificate a favore delle esigenze della Difesa e degli Interni. 
Senza contare che l’unica amministrazione del comparto che si trova a competere con l’Agenzia delle Entrate che è la pubblica amministrazione che, più di ogni altra, sta intercettando il cambiamento, sfruttando l’autonomia gestionale garantita dalla sua particolare forma giuridica.
E’ evidente la Guardia di Finanza può anzi deve rimanere all’interno del comparto sicurezza (uscirne potrebbe significarne lo scioglimento) ma è altrettanto evidente che senza un’adeguata autonomia, la Guardia di Finanza rischia di non essere strutturalmente adeguata alle nuove funzioni assegnate dall’ordinamento.

Lei è rappresentante del Cocer Finanza; un organismo che si espresso con chiarezza rispetto all’esigenza che l’amministrazione faccia un salto di qualità e che il personale conosca i rischi che corre mantenendo la status quo. Ma è evidente che gli strumenti che avete a disposizione come rappresentanti sono assai limitati e logori…Non è, questo, un grosso limite al raggiungimento degli obiettivi che vi siete posti?

Il più grande problema della rappresentanza militare risiede nell’assenza di potere contrattuale, ovvero la capacità di essere un interlocutore delle Istituzioni e non solo un consigliere eventuale degli Stati Maggiori, da scatenare solo quando fa comodo. Lo si è visto chiaramente nel corso della definizione della revisione della spesa militare. Va immediatamente ed urgentemente rivisto il D. Lgs. 195/1995. 
Riguardo al problema della rappresentanza credo che il personale della Guardia di Finanza non sia secondo a nessuno. Sono anni che chiede i diritti sindacali ed in questi giorni ha addirittura deciso di percorrere la strada del ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, un decisione storica perché intrapresa con forza e numeri dall’interno della Rappresentanza, segno evidente che questa problematica è molto sentita tra i finanzieri.

Se lei dovesse rispondere alle critiche di chi pensa che un rappresentante del personale dovrebbe occuparsi solo della condizione professionale, delle carriere, degli stipendi ecc….e lasciare alla Politica il compito di fare le riforme strutturali, cosa direbbe?

E’ l’errore più grave che può commettere un rappresentante e che hanno purtroppo commesso i sindacati di questo Paese. Pensare solo e soltanto agli interessi degli associati, dimenticando chi era fuori dalla tutela come i precari, i giovani, ecc., ha determinato la delegittimazione dei sindacati. Se si vuole arrivare ad un modello sindacale partecipativo, protagonista e non succube del cambiamento; se si pensa che i rappresentanti sindacali debbano coinvolti nei processi di riforma, bisogna necessariamente che affrontino le problematiche del personale con un’ottica che tenga in considerazione le esigenze dell’azienda o dall’amministrazione cui appartengono. Non è un caso se oggi la parola “sindacato” susciti nell’opinione pubblica sfiducia ed avversione, al pari della parola “partito”.

Ultima domanda: in queste settimane si sente parlare nuovamente di riforma della rappresentanza militare; alcune forze politiche si accingono a depositare le loro proposte in parlamento ….Si fida? Cosa si aspetta e cosa vorrebbe dire ai partiti che in questi anni hanno dimostrato poco coraggio nel recepire l’esigenza di dotare il personale militare di uno strumento di tutela efficace?

Per dirla come De Gasperi, i partiti italiani sono abituati, da decenni, a guardare alle prossime elezioni e non alle prossime generazioni, per questo l’Italia si trova in queste condizioni ed il comparto sicurezza e difesa si trova in questa situazione. In altri termini, non mi stupirei se, ora che hanno sotto mano un documento del CoCeR Interforze che chiede, senza mezzi termini, una seria riforma del modello di rappresentanza, uscissero proposte di legge più progressiste delle precedenti. Il problema però non sta nelle proposte di legge (non si negano a nessuno) ma nella reale volontà di attuarle e, su quella, ho molti più dubbi.

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