IL COMANDANTE GDF, L’IRA E L’IPOTESI DI UN DISCORSO PUBBLICO. LA PREOCCUPAZIONE DI CHI DEVE GUIDARE LE FIAMME GIALLE È CHE ADESSO PREVALGA UN SENTIMENTO DI RIBELLIONE (Corriere della Sera)

giovedì 12 giugno 2014

 

Il Corriere della Sera – 12 giugno 2014

I venduti e la resa dei conti

IL COMANDANTE, L’IRA E L’IPOTESI DI UN DISCORSO PUBBLICO

di Fiorenza Sarzanini

I magistrati varcano il portone del Comando generale della Guardia di Finanza e il pensiero corre all’estate di tre anni fa quando un’altra inchiesta su alcuni generali delle Fiamme Gialle convinse l’allora procuratore di Napoli, Giandomenico Lepore, a recarsi a Roma per manifestare stima ai vertici. Così si comprende che anche questa volta la mazzata è forte, perché l’accusa infamante di corruzione agli ultimi due comandanti in seconda — Vito Bardi ed Emilio Spaziante — potrebbe essere soltanto il primo passo di un’indagine che porta lontano.

Esplode la rabbia perché tutto questo «arriva nel momento che per noi è di grandissima e soddisfacente attività». Ai piani alti di viale XXI Aprile non si riesce a nascondere «lo scoramento per quanto sta accadendo, ma anche l’ira perché questi sono i frutti avvelenati di una stagione passata che purtroppo non possiamo ritenere definitivamente archiviata».

Spaziante è agli arresti per ordine dei giudici di Venezia che lo indicano come uno dei «burattinai» dello scandalo legato al Mose; la perquisizione nell’ufficio e nell’abitazione di Bardi va avanti fino a sera. Non è la prima volta che il generale incappa in un’inchiesta della magistratura. Fu indagato nell’ambito degli accertamenti sulla «cosiddetta» loggia P4 e poi prosciolto.

Nel 2009, mentre a Bari era in corso l’indagine sulle feste nelle residenze di Silvio Berlusconi, organizzò una riunione «riservata» con alcuni ufficiali della Finanza e il futuro procuratore Antonio Laudati, poi rinviato a giudizio con l’accusa di abuso d’ufficio e favoreggiamento per aver «pilotato» le verifiche nei confronti del premier.

Comportamenti chiacchierati che comunque non gli hanno impedito di diventare il numero due del Corpo. Lo impone la legge che prevede l’assegnazione dell’incarico al più anziano tra i generali. Una norma che mai nessuno ha chiesto di modificare pur nella consapevolezza che regole diverse avrebbero invece potuto evitare proprio il ritorno dei «frutti avvelenati».

E adesso con questo si fanno i conti, con il timore che «una nuova bufera travolga tutti, anche chi lavora giorno e notte e lo fa da anni proprio per dimostrare la nostra capacità investigativa, la nostra volontà di stanare gli evasori, i corrotti, i ladri». Ecco perché in serata si fa strada l’ipotesi di un’uscita forte del comandante generale Saverio Capolupo.

L’idea è quella di un discorso pubblico, da pronunciare già domani in televisione o nel corso di una cerimonia ufficiale, contro i «venduti», «in modo da dare fiducia alla parte sana che è quella vera e soprattutto più consistente. Per tenere alto il morale della “base” e ribadire che i primi a voler fare pulizia siamo proprio noi».

E allora si pensa di elencare tutte quelle indagini avviate per stanare i politici che hanno usato a fini personali i soldi pubblici, per smascherare gli accordi illeciti tra le banche oppure per far emergere le «ruberie» degli amministratori di Mps. Ma anche di «esaltare il lavoro quotidiano delle migliaia di sottufficiali che ogni giorno effettuano verifiche fiscali, controlli sulla spesa pubblica, accertamenti di danno all’Erario».

Si pensa in particolare all’ultima indagine, quella del Mose di Venezia. «Perché — evidenziano i vertici — è vero che alcuni finanzieri anche di grado alto sono stati coinvolti, ma siamo stati proprio noi a scoprirli e li abbiamo trovati in buona compagnia con ministri, politici, magistrati». Dopo gli arresti, durante la conferenza stampa organizzata a Venezia, il comandante regionale Bruno Buratti aveva elogiato il «lavoro di squadra» sottolineando i quattro anni trascorsi dagli investigatori a ricostruire il «sistema» delle mazzette che ha sottratto alle casse dello Stato centinaia di milioni di euro.

La preoccupazione di chi deve guidare la truppa è che adesso prevalga un sentimento di ribellione, la delusione «di chi si dà da fare per stipendi minimi, mentre i colleghi rubano e fanno vita da nababbi». Ecco perché si riflette sulla necessità di lanciare un segnale forte, ma anche di effettuare una «revisione» degli incarichi proprio per riuscire a impedire che gli ufficiali più chiacchierati ottengano posti di comando o comunque incarichi prestigiosi.

È successo nel passato ed evidentemente continua ad accadere in una spirale che va interrotta se davvero si vuole proteggere la parte sana. Ed evitare la beffa di prendere lezioni da chi invece non è affatto al di sopra del sospetto.

Il finanziere modello, spiegò Bardi in un’intervista rilasciata nel 2012 «è cittadino non avulso dal contesto che lo circonda, di sani principi e pronto ad affrontare le difficoltà». Un esempio che forse lui ha deciso di non seguire.

fsarzanini@corriere.it


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