1999-2018: VENT’ANNI DI PROGRESSI PER I DIRITTI ASSOCIATIVI DEI MILITARI IN EUROPA MERIDIONALE (TRANNE IN ITALIA) – di Simone Sansoni

martedì 06 febbraio 2018

1999-2018: VENT’ANNI DI PROGRESSI PER I DIRITTI ASSOCIATIVI DEI MILITARI IN EUROPA MERIDIONALE (TRANNE IN ITALIA) – di Simone Sansoni

Il 13 dicembre 1999 la Corte costituzionale italiana decise che, allora, era legittimo il divieto per i militari di aderire ad associazioni professionali a carattere sindacale; il 10 aprile 2018[1] la Consulta sarà ancora chiamato a pronunciarsi sul tema, secondo parametri nuovi e diversi.

Nel 1999 la situazione dei militari italiani era molto simile a quella di centinaia di migliaia di colleghi dell’Europa meridionale, mentre negli altri Paesi europei già da decenni la libertà di associarsi in associazioni sindacali era ampiamente riconosciuta[2].

Da allora, tuttavia, in molti di quei Paesi si sono fatti enormi passi avanti, come di seguito verrà illustrato.

PORTOGALLO

Fino alla fine degli anni ‘80, la situazione portoghese era analoga a quella dell’Italia, ove, per l’appunto, tuttora vige ancora un divieto assoluto di costituire associazioni professionali a carattere sindacale tra militari.

Tuttavia, memori dell’eredità politica e democratica del Movimento dei Capitani che portò alla cd. “rivoluzione dei garofani” nel 1974 e nonostante le pesanti intimidazioni e la repressione da parte delle gerarchie, la persistente azione dei militari portoghesi indusse i loro politici ad una progressiva apertura della normativa.

Nel 1989 venne fondata l’Associazione Nazionale dei Sergenti[3], mentre un paio d’anni dopo fu costituita l’Associazione professionale della Guardia nazionale repubblicana[4], tra le più battagliere organizzazioni portoghesi sul campo dei diritti dei militari.

Grazie alla loro opera di persuasione, il 29 agosto 2001 l’assemblea legislativa varò la “Legge del diritto di associazione professionale dei militari”[5], n. 3, che all'articolo 1 esordisce: "Il personale militare in servizio, siano essi membri permanenti delle forze armate impegnati sotto qualsiasi forma di accordo, o coloro che sono impegnati sotto contratto, devono avere il diritto di costituire associazioni professionali per rappresentare istituzionalmente i loro membri per quanto riguarda l'assistenza legale, le questioni deontologiche o socio-professionali ".

Da quel momento la normativa portoghese è andata in progredire, specificando le libertà che spettano ai militari operanti nei diversi e numerosi corpi armati[6].

Il Portogallo, che spesso compare assieme all’Italia al fondo delle classifiche europee, si dimostrò invece precursore tra i Paesi latini per quanto riguarda le libertà civili dei militari.

SPAGNA

La strada per i diritti percorsa dai militari spagnoli può definirsi analoga ai loro cugini portoghesi, ancorché in lieve ritardo

Dopo molti anni di attività clandestina, sia durante il franchismo che nella transizione democratica, i militari spagnoli, in primis gli appartenenti alla Guardia Civil, si organizzarono in vere associazioni molto combattive nel campo dei diritti[7].

Nel 2007, dopo clamorose proteste che culminarono il 20 gennaio in una grande manifestazione in uniforme  in strada a Madrid[8], Il Parlamento spagnolo approvò il “Regolamento organico dei diritti e dei doveri dei membri della Guardia Civil” (Legge n. 11 del 22 ottobre 2007[9]), con il quale venne anche riconosciuta la piena libertà di costituire associazioni, in due tipologie[10]: 1) le associazioni professionali, che si occupano della difesa e promozione dei diritti e degli interessi professionali, economici e sociali dei lavoratori della Guardia Civil; 2) le associazioni non professionali, cioè di tipo socio-culturale.

Pochi anni dopo, con un percorso inverso rispetto i portoghesi, anche tutti gli altri militari della Forze Armate spagnole conquistarono analoghi diritti[11], grazie all’approvazione della Legge del 27 luglio 2011 n. 9, sui diritti e doveri dei membri delle Forze Armate[12].

FRANCIA

I militari d’oltralpe hanno incontrato maggiori resistenze rispetto ai colleghi iberici, nonostante la lunga e persistente azione politica di associazioni come ADEFDROMIL (associazione per la difesa dei diritti dei militari)[13]. Dopo decenni di assoluto immobilismo e diniego da parte di tutti gli schieramenti politici di maggioranza, la situazione si è finalmente sbloccata proprio grazie a tale associazione ed all’azione di un singolo militare, Jean-Hugues Matelly[14], Ufficiale della Gendarmerie nationale.

Entrambi intrapresero una lunga battaglia giudiziaria, prima davanti ai tribunali francesi ed infine davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che culminò il 2 ottobre 2014[15] con le due note sentenze dei giudici di Strasburgo che condannarono la Repubblica francese.

Le due decisioni gemelle sono già ampiamente state sviscerate ed illustrate[16]; in buona sostanza la Corte europea ha affermato che il divieto assoluto di costituzione o adesione ad associazioni sindacali nell’ambito delle forze armate previsto dalla legislazione francese non era compatibile con il nucleo essenziale del diritto alla libertà di associazione sindacale tutelato dall’art. 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La Francia si trovò quindi costretta, con molta ritrosia, ad adeguare la propria normativa ed eliminare il divieto[17]. Il Governo francese avrebbe potuto anche impugnare le sentenze in un giudizio di appello ma, come ebbe modo di affermare il giudice Pêcheur, consulente del Presidente Hollande, “…non avevamo alcuna possibilità di vincere”[18].

Dopo un breve dibattito parlamentare, la normativa francese venne perciò riformata con la Legge n° 917 del 28 luglio 2015[19], che introdusse il diritto di costituire associazioni nazionali professionali dei militari[20].

MALTA

La piccola repubblica al centro del mediterraneo ha adottato pochi anni fa una legislazione estremamente progressista, transitando immediatamente da un divieto assoluto per tutti i corpi di sicurezza, alla possibilità di aderire a qualsiasi sindacato. Si è trattato di adempiere ad un impegno che il Partito laburista aveva preso prima delle elezioni del 2013, che lo videro vincitore sul Partito nazionalista dopo ben 25 anni di opposizione.

Il disegno di legge venne presentato dal Governo al Parlamento maltese il 26 maggio 2014 ed approvato definitivamente l’11 febbraio 2015 (Legge n. IV del 20 febbraio 2015 “Iscrizione ai sindacati delle forze disciplinate”)[21].

Attualmente a Malta esiste AFU[22], il primo sindacato che rappresenta i membri delle Forze Armate, una organizzazione sindacale indipendente ma collegata con il più grande sindacato del paese, l'Unione generale dei lavoratori (GWU)[23].

GRECIA

Anche la nazione ellenica, che solitamente segue l’Italia nelle classifiche sui diritti civili, ha recentemente riconosciuto ai propri militari il diritto di tutelarsi con lo strumento associativo.

Come i colleghi francesi, pure i greci hanno dovuto intraprendere una via giudiziaria per giungere al traguardo.

I sindacati erano off-limits anche per loro ma, il 3 marzo 2012, la Corte Suprema speciale (una sorta di Corte costituzionale), con la decisione n. 3/2012, ha stabilito che gli appartenenti alle forze armate devono godere pienamente del diritto di associarsi, quando non impegnati in operazioni militari, per proteggere i loro interessi professionali. In questo spirito, sono state create diverse associazioni professionali, aderenti alla P.F.A.F.U. (Federazione Pan-Ellenica delle Forze Armate)[24], una confederazione di esse.

Il Parlamento greco ne ha infine preso atto con la Legge n. 4407 del 27 luglio 2016[25] (“Regolazione delle questioni di competenza del Ministero della Difesa e altre disposizioni”), pubblicata nella Gazzetta n. 134, nella quale è riconosciuto il diritto del personale militare greco ad unirsi in sindacati ed essere rappresentato da loro. La legge ha riconosciuto P.F.A.F.U. ed i suoi membri come unici rappresentanti istituzionali del personale militare greco attivo e gli ha dato il diritto di comunicare direttamente con il Ministero della Difesa e le autorità militari riguardo alle questioni di interesse.

ITALIA

Chiudiamo questo elenco con l’unica nazione che, purtroppo, è rimasta assolutamente ferma allo scorso secolo nel campo dei diritti associativi dei militari.

Nonostante le promesse[26] fatte dalle varie forze politiche che si sono alternate alla guida del Paese e le dozzine di disegni di legge presentati in Parlamento, addirittura dalla XI legislatura (1992), nessuna modifica normativa sostanziale è avvenuta mentre si sono succedute numerose proroghe degli organismi di rappresentanza militare.

Si tratta di un vero fallimento della politica al quale speriamo che i giudici pongano a breve rimedio, come purtroppo è sovente capitato anche per altre inerzie del legislatore italiano[27].

 

[2] Ad esempio in Svezia dal 1908, in Austria dal 1919, in Germania dal 1956, in Danimarca dal 1959, nei Paesi Bassi dal 1966, in Belgio dal 1978, nella Repubblica d’Irlanda e nel Regno Unito dal 1990.


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